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Style / Corriere Della Sera

Ostriche & bignè ... E se le regine del mare si gustassero anche in pasticceria? Non è un’eresia e sono la pausa perfetta durante gli acquisti natalizi, meglio del panettone. Da dicembre a primavera, Belon, Marennes e Creuse son lì per farsi mangiare. Una via l’altra, come le ciliegie. Sopra? Un rosso, Borgogna... Se piacciono non si abbandonano mai, tanto meno a Natale. I golosi sono sempre
pronti a gustarsele all’ora dell’aperitivo e perché no, a cena: ostriche è la parola d’ordine. Che siano Belon o Creuse, direttamente dal Nord, oppure Bouzigues o Marennes, a carne verde, dal Mediterraneo, il momento è solenne. Anche come “comfort food”, per tirar su il morale, per chiudere una giornata così così. Lo sa bene un golosone come l’avvocato toscano Paolo Baracchino, degustatore di importanti vini, disposto a fare chilometri per assaggiare uno Chteau Petrus, ma sempre pronto a percorrere il doppio di strada per deliziarsi con questa prelibatezza del mare.
Una tira l’altra, come le ciliegie, e basta raggiungere, il venerdì, ad esempio l’antica pasticceria Cavour a Bergamo Alta, a dieci metri da piazza Vecchia, per scoprire che la famiglia Cerea, quella del ristorante Vittorio di Brusaporto, vi vizierà. Ostriche in pasticceria: non è una stranezza. Vanno bene gli assaggi di torta Cavour, i dolci al cucchiaio, la millefoglie con piccoli bignè, exploit della coppia formata da Barbara Cerea e dal marito Simone Finazzi, ma davanti a certi clienti i due hanno dovuto arrendersi: per avere le sei Belon di Arcachon, quattro euro l’una, sono pronti a dare di gomito col vicino in attesa del loro turno. Come per le Claires, che siano “fines” o “speciales”, e meglio ancora le rare Girardeau, eccezionali nella loro sapidità, i Cerea coccolano chi non rinuncia, da anni, a varcare la soglia di questo tempio della brioche. “Bastano tre o sei pezzi, magari accompagnati da un risottino, sempre lì in pasticceria, con un po’ di burro, scalogno e champagne” dice il fratello di Barbara, lo chef Chicco Cerea dalla cucina di Vittorio, ma deus ex machina anche qui. La spesa può essere contenuta tra 35 e 45 euro, dipende dal tipo di ostrica che si sceglie. Basta moltiplicare. Un piccolo segreto: mai superare le 12 unità. E se lo chef è ispirato perché non farvele servire fritte? Semplicità va d’accordo con bontà: rapido passaggio nel succo di limone, quindi nelle uova sbattute, e poi nella farina di mais, prima di una leggera scottatura sul fuoco. Il risultato è sorprendente. Le bollicine, siano italiane o francesi, potranno accompagnare questa sosta golosa, si va a colpo sicuro, anche se, da qualche tempo, l’azzardo suggerisce un rosso. Un bicchiere di Pinot nero della Borgogna potrebbe sfatare luoghi comuni e aprire nuove vie del gusto. Del resto, non è così sorprendente da tempo, ormai, bere vino rosso leggero con il pesce. “Un modo tutto francese di gustare le ostriche, forse noi siamo più conservatori, ma perché non provare” ammette lo chef di questa famiglia. Ostriche sino a primavera dunque, da assaggiare in posti pieni di storia come questa pasticceria, in cui domina la grande disponibilità dei proprietari, o in poco più che una baracca, come da L’Ostricaio a Livorno o da Indarsena Oyster bar dal Gagge, a Genova (tel. 347 7139020). Qui le regine del mare, servite sulla banchina della vecchia Darsena, avranno, davvero, un tocco in più.

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