Trump non si è ancora insediato alla Casa Bianca (lo farà il 20 gennaio), ma gli analisti si sono già scatenati: dopo l’elezione del tycoon come prossimo Presidente degli Usa (il n. 47) sono in molti a tentare di delineare lo scenario economico che attende l’Europa, e il nostro Paese, nei mesi e negli anni a venire. Tra dazi e neo-protezionismo, sono diversi i motivi di preoccupazione per le aziende italiane, senza eccezione per il settore food & wine, per il quale gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato al mondo. E se c’è chi, come Susini Group, ha già stimato in 45.000 posti di lavoro e in 4,2 miliardi di euro il rischio di perdita complessiva in caso di nuovi dazi per le nostre merci, quello che è certo è che l’Italia, Paese esportatore per eccellenza, non può fare a meno del mercato a stelle & strisce. In particolare per quanto riguarda l’industria agroalimentare, ad oggi una delle più fiorenti: secondo un’elaborazione Federalimentare su dati Istat, il valore dell’ export mondiale punta a quota 57 miliardi di euro a fine 2024. I prodotti più ricercati all’estero sono il vino (che sfiora i 5 miliardi di euro di export), i dolci (4,3 miliardi), i formaggi (3,4 miliardi), l’olio (2,6 miliardi) e la pasta (2,5 miliardi). E gli Stati Uniti sono in pole position: nei primi sette mesi dell’anno si registra una crescita molto significativa del nostro export oltreoceano, con un valore di oltre 4,4 miliardi di euro, +19,7% sullo stesso periodo 2023, ed una quota del mercato di settore pari al 13,5%. Ma in campagna elettorale Trump lo ha promesso: una politica di protezionismo forte e dazi fra il 10% e il 20%, anche nei confronti dell’export europeo, per non parlare di quello cinese, che rischia dazi fino al 60%.
Secondo Susini Group, studio fiorentino leader nella consulenza del lavoro, i dazi Usa metterebbero a rischio lo 0,2% del nostro Pil nazionale, circa 4,2 miliardi di euro, e quasi 45.000 posti di lavoro. Questa è la stima che include anche un eventuale ricorso alla cassa integrazione da parte di diverse aziende, per un totale annuo di 40,5 milioni di ore, con un aggravio di costi per l’Inps di 239 milioni di euro. “Trump è stato appena eletto per la seconda volta Presidente degli Stati Uniti e già in Europa si pensa a quelle che potrebbero essere le conseguenze di eventuali introduzioni di dazi sulle importazioni, tra il 10% e il 20%, con l’obiettivo di incrementare le entrate, difendere le industrie nazionali e accrescere i posti di lavoro negli Stati Uniti - commenta Sandro Susini, consulente del lavoro e fondatore di Susini Group - i dazi potrebbero riguardare i prodotti alimentari, quelli chimici, quelli di lusso e gli autoveicoli. Se quanto promesso in campagna elettorale fosse mantenuto, sicuramente ci sarebbero delle ripercussioni economiche negative in molti Paesi europei. Anche l’Italia ne soffrirebbe in termini di prodotto interno lordo e di occupazione”.
Già prima dell’elezione di Trump i titoli di colossi europei come Lvmh e Kering (con dentro molti marchi italiani), passando per i gruppi di liquori come Diageo o Campari mostravano segni di sofferenza, a dimostrazione che anche solo la possibilità dei dazi basta a generare incertezza sui mercati. Il mondo del vino si interroga dunque sul suo futuro, sia dal punto di vista americano, sia italiano che, va detto, nel corso della prima presidenza Trump ha avuto un vantaggio competitivo rispetto a quello francese: le bottiglie tricolori sono state infatti esonerate dai dazi (arrivati al 25%, nell’annosa disputa tra Airbus e Boeing) imposti alle produzioni europee e francesi in particolare. Dazi, per altro, imposti su tanti altri prodotti del made in Italy agroalimentare, e mai tolti formalmente, ma soltanto “congelati” fino al 2026 nelle trattative tra l’Unione Europea, a guida Von Der Leyen, e gli Usa, a guida Biden.
Nel primo mandato di Trump (da gennaio 2017 a gennaio 2021), le importazioni di vino italiano in Usa (dati Istat) hanno toccato i 1,4 miliardi di euro nel 2017, per poi salire a 1,46 nel 2018, a 1,53 nel 2019, scendere a 1,45 nel 2020, con il peso del Covid sulle spalle, per poi riesplodere e superare 1,7 miliardi di euro a fine 2021, primo anno di presidenza Biden, ma anche anno in cui il mondo ha iniziato ad uscire della pandemia. Poi, anche a causa dell’inflazione, i valori sono cresciuti ancora, a 1,85 miliardi di euro nel 2022, per poi riassestarsi a 1,76 nel 2023 con il vino italiano che, nel 2024, punta ad un nuovo record, con un +7% nei primi 7 mesi dell’anno.
In uno degli ultimi comizi prima delle elezioni, parlando da un palco della Pennsylvania, Trump ha tuonato: “vi dirò una cosa, l’Unione Europea sembra così carina, così adorabile, vero? Tutti i bei paesini europei che si uniscono. Non prendono i nostri prodotti agricoli. Vendono milioni e milioni di auto negli Stati Uniti. No, no, no, dovranno pagare un prezzo elevato”, ha affermato. Paventando così il ritorno del suo “Trump Reciprocal Trade Act”, che si potrebbe tradurre in “occhio per occhio, dazio per dazio”. “Ad ogni chiusura dell’Europa in agricoltura, sulle carni agli ormoni o altri prodotti fuori dalle nostre norme fitosanitarie, corrisponderebbero chiusure su prodotti della filiera agroalimentare. Italia e Francia sarebbero le più esposte” scrive Federico Fubini sul “Corriere della Sera”. L’investitore ed esperto di economia Scott Bessent (tra i candidati di Trump nel ruolo di Segretario al Tesoro) afferma che i dazi verrebbero prima annunciati, poi fatti salire dell’1% a scadenze regolari - per esempio, ogni settimana - in modo da mettere pressione sull’Europa e gli altri partner perché facciano concessioni.
In questo quadro a tinte fosche le più importanti associazioni di categoria dell’agroalimentare italiano esprimono le loro preoccupazioni: per Coldiretti l’Unione Europea deve rafforzare il suo bilancio agricolo, gravemente carente rispetto al Farm Bill, il programma di aiuti per gli agricoltori americani, che il neo presidente prevede di potenziare con una serie di misure fiscali e incentivi per rafforzare la produzione alimentare statunitense e incrementare la presenza sui mercati esteri. Secondo Confagricoltura l’elezione di Donald Trump è sfidante per l’agricoltura europea. Con un mercato americano sempre più competitivo, cresce la preoccupazione per gli imprenditori agricoli europei. L’Unione Europea deve assolutamente puntare su produttività e competitività. Cia-Agricoltori Italiani conta su un lavoro diplomatico importante tra Europa e Stati Uniti, anche per salvaguardare l’export agroalimentare Ue e made in Italy, auspica una stagione che tenga fuori il tema dazi. Secondo Confcooperative-Fedagripesca con la nuova presidenza Trump le esportazioni del settore lattiero-caseario italiano negli Usa potrebbero subire un deciso rallentamento in caso di reintroduzione di dazi all’importazione. Si tratterebbe di una nuova battuta d’arresto per un comparto da sempre tra i più performanti del nostro made in Italy.
Nelle scorse settimane Mario Draghi, presentando il suo rapporto sulla competitività, ha avvertito che l’Europa rischiava una “lenta agonia”: speriamo che questa fosca previsione non si avveri, complice il nuovo corso delle politiche commerciali di Donald Trump.
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