Il budget a rischio nella prossima Politica Agricola Comune (Pac), anche causa della Brexit; l’urgenza della distinzione tra transgenesi (Ogm) e nuove biotecnologie (tecnica della mutagenesi) per rendere la viticoltura più sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici, anche a fronte della riduzione dell’uso di rame; preservare i vitigni autoctoni; il cambiamento delle autorizzazioni ai nuovi impianti: ecco i temi caldi affrontati, ieri, in un convegno, a Valgatara in Valpolicella, organizzato da Valpolicella Benaco Banca, in collaborazione con il Comune di Marano, Coldiretti Verona e Consorzio Tutela Vini Valpolicella.
“Le preoccupazioni rispetto alla Pac sono importanti - ha esordito Paolo De Castro, vice presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo. Abbiamo votato a Strasburgo il parere del Parlamento europeo sul quadro finanziario Ue chiedendo che gli Stati membri paghino uno 0,3% in più per compensare le nuove politiche agricole, i flussi migratori, la ricerca e l’innovazione (proposto lo stanziamento di 100 miliardi di euro per Horizon Europe, prosecuzione di Horizon 2020, ndr). Si tratta di un passo avanti rispetto allo 0,1% proposto da Guenther Oettinger, commissario Ue al Bilancio, in un quadro in cui il budget agricolo rappresenta il 36-37% nel bilancio complessivo. Se gli Stati membri non saranno disposti a pagare, le risorse per l’agricoltura sono destinate a ridursi. Il negoziato è appena iniziato e vedremo come andrà. Non si capisce perché il buco di 12 miliardi provocato dalla Brexit debba gravare sugli agricoltori. Circa le nuove biotecnologie - ha aggiunto De Castro - bisognerà quanto prima fare ordine e superare la sentenza emessa nella luglio scorso dalla Corte di Giustizia europea che ha rifiutato di distinguere le nuove biotecnologie, da cui si ottengono piante mutate come accade con tempi molto più lunghi in natura, dalla transgenesi, che invece produce organismi geneticamente modificati. Non siamo per il “Frankenstein food”, ma per tecniche che non spostano geni da una specie all’altra. Una grande differenza che bisogna comunicare correttamente ai cittadini. Si tratta di una strada che consente di combattere le malattie della vite per via genetica e non chimica con vantaggi per la sostenibilità ambientale e per la difesa della biodiversità. E mi auguro che ci si possa arrivare”.
Un gruppo di parlamentari europei di Paesi viticoli si sta adoperando in questo senso, anche se questa non sarà di sicuro una priorità per il nuovo Parlamento eletto dopo le elezioni del prossimo maggio.
“La domanda di sostenibilità - ha concordato Domenico Bosco, responsabile dell’ufficio vitivinicolo della Confederazione Nazionale Coldiretti - è molto elevata. In questo senso va l’abbassamento dei limiti all’utilizzo del rame in vigneto proposto dalla Commissione Europea, dagli attuali 6 chilogrammi ad ettaro a 4. Il rame per difesa della vite è stato messo all’indice dall’Europa ma ciò può rendere inermi i viticoltori che fanno biologico. Siamo contro gli Ogm, ma la scienza con le nuove biotecnologie, come il genome editing, chiaramente da verificare rispetto alla sua funzionalità, ci darebbe una soluzione, la possibilità di intervenire sulla vite senza andare a stravolgere biodiversità e vitigni autoctoni”.
Su diversi fronti vertono, invece, le riflessioni di Davide Gaeta, professore di Politiche vitivinicole all’Università di Verona. “Il regolamento europeo sul biologico - ha detto - e il relativo utilizzo del rame, sono un disastro che fa buchi ovunque. Le nuove biotecnologie sono la strada per arginare le patologie della vite. I passati diritti di impianto, invece, sono stati un nuovo reddito di impresa, e ora rischia di esserlo anche la vendita dei vigneti extraregione per le autorizzazioni. E l’etichettatura dei vini è più farraginosa all’interno dell’Ue che per i Paesi extraeuropei, e quindi è di ostacolo all’esportazione .Infine la governance dei Consorzi andrebbe rivista. Sono risultati di un concorso di colpa tra Europa e Italia a causa dei troppi compromessi della prima e dell’attitudine italica a complicare le regole europee”.
Le autorizzazioni all’impianto (ad oggi è consentito ad ogni Stato membro l’aumento dell’1% all’anno della superficie vitata, ndr) rappresentano per l’Italia una criticità “perché da noi, senza un catasto viticolo, c’è una grande confusione - ha illustrato De Castro - diversamente che in altri Paesi come la Francia dove i viticoltori comprano i terreni e poi vi trasferiscono i diritti. Con la PAC 2021-2027 avremo l’opportunità di rimediare”.
“Si possono criticare tante cose nei meccanismi europei - ha sostenuto Bosco - ma le regole dell’Ue ci hanno costretto a seguire una strategia che ha consentito di distinguerci per i vini da vitigni autoctoni, l’artigianalità e il saper fare. La liberalizzazione mi preoccupa: parlando di zuccheraggio e vini varietali si rischia uno spostamento della viticoltura. Quello delle autorizzazioni all’impianto non è un sistema perfetto, ma con piccoli accorgimenti, come l’assegnazione di tutto il 3% in un unico bando triennale invece che in tre annuali, si potrebbe gestire la situazione”.
A proposito di etichettatura, De Castro ha ricordato la modifica all’atto delegato della Commissione, richiesta e ottenuta nei giorni scorsi dal Parlamento (https://winenews.it/it/commissione-ue-lindicazione-dorigine-dei-varietali-deve-corrispondere-al-luogo-della-raccolta_378207/), che prevedeva la possibilità di fare vino in stabilimento anche con uve non autoctone. “Non c’è alcun rischio, dunque, che un vino italiano sia prodotto con uve non italiane”, tuttavia Domenico Bosco ha rilanciato la questione indicando altri aspetti da risolvere, quali l’origine degli spumanti e la tutela del nome dei vitigni autoctoni italiani.
“Voglio infine ricordare - ha concluso De Castro - la maggior forza sui mercati che il Regolamento omnibus conferisce ai Consorzi di tutela e a tutti i sistemi associativi. Un’arma potentissima considerando che le nostre esportazioni enoiche superano i consumi interni e hanno superato il valore di 6 miliardi di euro”.
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