“Il vino è un alimento, ma anche una bevanda che tiene insieme le persone, che rallegra, che presiede alle nostre feste, che accompagna i nostri lutti, fa parte della nostra tradizione sociale: siamo gli utenti di questo magnifico dono della vite, che è stato portato nel Nuovo Mondo, dopo il diluvio, da Noè”. Così, a WineNews, Erri De Luca, scrittore e poeta dalla sensibilità unica e dallo sguardo sempre aperto sul mondo, specie su quello dei meno fortunati, di chi scappa dalle guerre e di chi fugge dalla povertà. Arrivando in Italia, a volte come primo approdo, altre per restare, finendo per arricchire sia l’economia che la società italiana, tanto che per il vino, come per tanti altri prodotti agricoli, il lavoro e l’apporto dei migranti sono diventati fondamentali. E allora, perché si fa ancora tanta fatica a capire il valore della diversità e dell’accoglienza? “Capiamo benissimo il valore della diversità e dell’accoglienza - spiega De Luca - solo che ci fa comodo che ci siano persone che facciano i lavori che gli italiani non vogliono più fare, compreso ovviamente quello nei campi e tra i filari, in una condizione di inferiorità, di timore e di soggezione civile: è un modo di sfruttarli meglio. Sappiamo molto bene come funziona, i numeri sono sotto gli occhi di tutti. Il bello del vino, però, è che è il nostro miglior prodotto da esportazione, spediamo all’estero più vino di qualsiasi altra merce che produciamo, e questo vuol dire che c’è un ritorno delle persone alle campagne, al lavoro ben fatto. Non possiamo puntare certo sulla siderurgia - continua lo scrittore napoletano - dove soffriremmo la competizione di altri Paesi, ma sul vino sì, perché non può essere fatto altrove, abbiamo delle specialità sulle quali investire ancora di più. La terra sta tornando a rappresentare un interesse economico principale: la nostra terra, la nostra varietà, di climi e di prodotti, che ci sta rendendo famosi nel mondo: è il nostro biglietto da visita, non certo i vestiti o le macchine, ma i prodotti alimentari”.
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