Solo in Europa, il mercato dei falsi wine & spirits vale 2,7 miliardi di euro all’anno, secondo l’Euipo, l’ufficio europeo che si occupa della tutela dei marchi e della proprietà intellettuale. Nel mondo, il mercato del falso, in ogni settore merceologico, è stimato in oltre 450 miliardi di euro. Due numeri, che dicono di quanto sia fondamentale fornire a clienti e consumatori, la certezza che il prodotto ed il vino che stanno acquistano sia autentico, ma anche che lungo il suo percorso, dalla vigna allo scaffale, e in tutti i passaggi intermedi, in un mercato sempre più grande e senza confini, sia stato trattato e conservato come si deve. Ed in questo senso, il futuro passa anche dallo sviluppo della “blockchain” legato al vino, ovvero quel sistema di informazione che viene scambiato e certificato in ogni singolo passaggio dagli stessi operatori che lo effettuano. Riflessione al centro di wine2wine, il forum per le imprese del vino italiano firmato Veronafiere e Vinitaly, promosso da Var Group, azienda leader italiana nel settore dell’Iot (“Internet of Things”).
“Chiaramente investire nella “wine block chain” - ha sottolineato Lorenzo Tersi, alla guida di Lt Wine Advisory ed esperto del mercato del vino - vuol dire investire dei capitali economici ed umani. Ed io credo che più che per le grandissime aziende e le cooperative da un lato, e per i piccolissimi artigiani del vino dall’altro, sarà uno strumento ideale per le cantine di medie dimensioni, quelle che per intenderci hanno un fatturato intorno ai 10 milioni di euro, che esportano la metà della loro produzione e vogliono crescere. Perchè di strumenti di certificazione delle informazioni come questi, c’è grande richiesta dai mercati più avanzati, come la Cina per esempio. Ma anche dai consumatori: il 60% controlla etichetta e cerca sostenibilità, 74% è influenzato dalla trasparenza e dalla tracciabilità, il 71% sarebbe disposto a pagare di più, l’89% vorrebbe conoscere meglio i criteri di certificazione. Ed il modello della block chain, legato a tecnologie già esistenti come il Qr Code, per esempio, può aiutare, perchè diventa anche un modello di raccolta di dati che integra tutte le info della filiera, dal vigneto al cliente finale, che certificate e non modificabili, che possono servire per ottimizzare i costi, per esempio, ma anche alla creazione di maggior valore legato al brand, e quindi anche ad un aumento dei prezzi di vendita legati alla tracciabilità”.
Di esempi non ne mancano, anche se in Italia, oggi, vengono soprattutto dal mondo della finanza e delle pubbliche amministrazioni. “Ci sono 331 aziende che applicano la block chain in Italia, legate
soprattutto al mondo finanziario e delle pubbliche amministrazioni - spiega Tersi - poi il terzo settore è quello dell’agribusiness, con esempi importanti, come quello di Castelli, secondo player del Parmigiano Reggiano dopo Granarolo, che la utilizza soprattutto contro i falsi, o il gruppo Grigi nella filiera dei mangimi”.
Insomma, la strada è segnata, e anche questo strumento, oggi guardato con un misto di curiosità e di scetticismo, si farà strada nel mondo del vino. Anche con applicazioni pratiche, come quella messa in campo dalla startup Wenda, come ha spiegato Mattina Nanetti: “abbiamo messo in piedi una piattaforma che attraverso la tecnologia è in grado, a costi contenuti, di monitorare tutto il viaggio della bottiglia di vino, dalla cantina al consumatore finale, tenendo sotto controllo la temperatura, l’umidità e altri parametri, e che manda messaggi di allarme se le condizione volute dal produttore non sono rispettate. Questo comporta una qualità certificata della catena, una distribuzione più intelligente, ed un monitoraggio sia del trasporto che dello stoccaggio, e si crea valore aggiunto”.
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