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Trump o Harris? Tra politiche commerciali e dazi, cosa potrebbe cambiare per il nostro export 

I possibili scenari in attesa delle elezioni Usa a novembre. Andrew Spannaus: “gli americani non smetteranno mai di amare cibo e vino made in Italy”
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A novembre gli americani sceglieranno il loro prossimo presidente

Con il ritiro di Joe Biden e l’ormai scontata discesa in campo di Kamala Harris (la candidatura ufficiale arriverà dalla Convention democratica a Chicago in agosto) come avversaria diretta di Donald Trump nella corsa verso la Casa Bianca, riparte con nuovo slancio la battaglia delle presidenziali Usa. Il 5 novembre gli americani sceglieranno il loro futuro presidente, e la vittoria di una o dell’altro influirà sulla situazione interna del Paese - in termini di immigrazione, sicurezza, welfare e diritti civili - e su quella internazionale, considerando l’importanza degli Stati Uniti nello scacchiere mondiale. Ma quali potrebbero essere, per l’agroalimentare italiano, e in particolare per il vino, le possibili conseguenze dell’elezione di Donald Trump o di Kamala Harris, tenuto conto che gli Stati Uniti sono il nostro principale importatore nel mondo? Andrew Spannaus, giornalista e analista politico americano di stanza in Italia e autore del podcast “That’s America” su “Radio 24” (i primi di ottobre esce il suo nuovo libro), ha provato a delineare uno scenario in base ai programmi di politiche commerciali dei due candidati. Da una parte l’atteggiamento protezionista di Trump - che ha già dichiarato la volontà di applicare dazi del 10% a tutti i prodotti che arrivano dall’estero (con un picco del 60% sulle merci cinesi) - e, dall’altra, un probabile approccio più soft per Kamala Harris, sulla linea già impostata da Biden nel corso del suo mandato. In ogni caso, sottolinea Spannaus, “gli americani non smetteranno mai di desiderare, acquistare e mangiare cibo e vino made in Italy”.
Ad oggi l’export di vino italiano negli Usa mantiene il segno positivo: se nel primo quadrimestre 2024 le esportazioni di vino, a livello globale, hanno superato i 2,5 miliardi di euro (+7% in valore sullo stesso periodo del 2023) ed i 690,76 milioni di litri (+5,8% in volume sul primo quadrimestre 2023), per gli Usa, da sempre primo mercato enoico per l’Italia, questi mantengono la propria leadership, con 626 milioni di euro (+6% sul dato allo stesso periodo 2023, con un’impennata rispetto al +2,2% di marzo), davanti alla Germania (prima destinazione europea e seconda mondiale) e al Regno Unito (dati Istat analizzati da WineNews).
Buoni risultati facilitati anche dall’assenza di dazi sul vino italiano negli Usa: un settore che non è mai stato colpito dalle “gabelle” americane, a differenza di altri comparti del made in Italy - come formaggi, salumi e spirits - e anche del vino francese e spagnolo. La “guerra dei dazi” ha preso il via nel corso dell’amministrazione Trump, come strumento di ritorsione nell’ambito di due querelle strategiche nei rapporti politico-economici tra Usa e Unione Europea, una su acciaio e alluminio e una sul settore aeronautico. Riguardo alla prima, per proteggere l’industria americana Washington istituì, nel 2018, pesanti dazi su alluminio e acciaio provenienti da altri Paesi, Unione Europa inclusa. A questa misura Bruxelles rispose con una serie di misure che andavano a colpire non solo la stessa tipologia di merci in arrivo dagli Usa, ma anche alcuni prodotti iconici del mito a stelle & strisce, dai Levi’s alle Harley Davidson, passando per bourbon e whisky. Invece la controversia Airbus-Boeing inizia addirittura nel 2004, quando gli Stati Uniti accusano l’Ue di sovvenzionare illegalmente il consorzio europeo Airbus; a sua volta Bruxelles aveva presentato una denuncia contro gli Stati Uniti per il suo sostegno illegale a Boeing. Come ritorsione le due parti imposero tariffe punitive sulle reciproche esportazioni: per quanto riguarda gli Usa, su formaggi, salumi e spirits made in Italy (con gravi ripercussioni sulle nostre eccellenze), ma non sul vino. Andò peggio alle bottiglie francesi e spagnole, finite nel mirino dei dazi americani, con pesanti contraccolpi sull’export. Una guerra commerciale “congelata” grazie a Biden: a partire dal 2021, infatti, l’attuale presidente ha sospeso i dazi, con un accordo siglato con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, valido per 5 anni.
I dazi però non sono stati mai cancellati, ma solo sospesi: il rischio dunque è che Trump, se verrà eletto, decida di riattivarli, anche prima del termine previsto. Non solo: potrebbe anche cambiare - e allungarsi - l’elenco dei prodotti colpiti. Come è evidente da quello che è accaduto negli ultimi anni, i dazi rappresentano un’arma strategica per combattere partite ben più grandi e importanti a livello politico ed economico, in cui i player non sono solo Stati Uniti ed Unione Europea, ma anche e soprattutto la Cina. Secondo le ultime esternazioni di Trump, se sarà lui ad essere eletto alla Casa Bianca, l’Europa dovrà prepararsi ad una nuova guerra di dazi commerciali con gli Usa. Lo ha annunciato lui stesso in un lunga intervista con “Bloomberg Businessweek” nei giorni scorsi.  L’ex presidente Donald Trump ha infatti dichiarato che imporrà tariffe del 10% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti dall’estero, con un prelievo del 60% o più sulle importazioni cinesi. L’idea, ha detto, è quella di proteggere i posti di lavoro americani e di aumentare le entrate, nell’ambito della sua agenda “America First”.
Per il giornalista Andrew Spannaus, “nel corso della sua presidenza Donald Trump ha sfidato il sistema della globalizzazione e del free trade. Il suo metodo è stato grossolano e “rozzo”, con la conseguenza di effetti imprecisi e spesso non mirati. É molto probabile che prosegua questa linea protezionista anche in futuro: basti pensare che il suo consigliere per il commercio, Robert Lighthizer, sostiene che gli Usa non devono avere un deficit commerciale. Invece Kamala Harris non si è ancora espressa sul tema di eventuali dazi: ritengo che continuerà nella direzione avviata da Biden, con lo stesso gruppo di lavoro, in un’ottica di collaborazione con l’Unione Europea, seppur nell’interesse degli Stati Uniti. Del resto le misure prese da Biden nel corso del suo mandato sono state precise e calibrate, pur senza fare passi indietro”. La pensano così anche altri analisti americani, secondo cui Harris adotterà in gran parte il progetto economico del presidente Biden su tasse e commercio internazionale. “Penso che seguirà da vicino il copione economico di Biden”, ha affermato recentemente Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics. “In ogni caso l’obiettivo, per il prossimo presidente - continua Spannaus - è ricostruire una base produttiva più solida. Non basta infatti mettere dazi e misure protezioniste per aumentare la produzione interna: ci vogliono capacità industriali e forza lavoro qualificata. Insomma, servono tempo e grandi investimenti”.
E nello specifico per il settore agroalimentare? “Non è tra i primi posti nell’agenda politica dei candidati, che vede in testa temi più strategici - spiega Spannaus - è vero che oggi negli Usa tutti vogliono fare vino, la produzione si sta espandendo, e chissà che in futuro qualcuno possa mettere misure protezionistiche per difendere il vino made in Usa. Ma, anche tenuto conto che in questo momento i consumi negli Stati Uniti sono in espansione, ritengo che gli americani non smetteranno mai di amare e acquistare il vino e il cibo italiani”.

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