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Un 2022 in sofferenza, per tornare a crescere nel 2023: il vino italiano supererà lo “stress test”

L’analisi di Prometeia, Banco Bpm, Unione Italiana Vini (Uiv) e Federvini. Pesano costi di produzione e guerra. La risposta è (anche) la qualità

Dopo un 2021 di rimbalzo trionfale, il 2022, per il vino italiano, sarà difficilissimo. La guerra che fa calare la fiducia dei consumatori e, quindi, i consumi voluttuari, e soprattutto l’aumento dei costi delle materie prime, lascerà un piccolo “segno meno”, probabilmente, a fine anno. Ed a soffrire, forse, più che il fatturato complessivo, sarà la marginalità, elemento fondamentale per la crescita delle imprese e per gli investimenti, fondamentali per affrontare i mercati internazionali. Il settore, però, reggerà a questo “stress test”, e, dal 2023, con buona probabilità, se lo scenario internazionale si tranquillizzerà, potrà riprendere la sua crescita, perchè il mercato, comunque, seppur con qualche criticità, come la perdita di consumatori giovani in Usa, cresce. Anche se va diversificato di più, perchè oggi, tre grandi Paesi (Usa, Uk e Germania) valgono il 50% delle esportazioni, ed i primi 7 mercati del vino tricolore pesano per il 70%. Emerge dal focus “Stress Test: il vino italiano alla prova congiunturale”, andato in scena, oggi, a Vinitaly, con Prometeia, Banco Bpm, Unione Italiana Vini (Uiv) e Federvini.
“La prima risposta resta sempre la qualità, perchè vuol dire in linea di massima marginalità più alte, e maggior propensione all’export”, ha sintetizzato Claudio Colacurcio di Prometeia, i cui dati hanno sottolineato come i costi di vetro, carta, energia e trasporti, e così via, già cresciuti del +58% nel 2021, cresceranno di un ulteriore +31,9% nel 2022, per poi tornare a scendere (la previsione è aggiornata a marzo 2022) nel 2023.
Questo, ovviamente, avrà delle ripercussioni sul mercato. “Il vino italiano subirà quest’anno una contrazione del proprio fatturato del 2,5%-3% a causa del combinato disposto di fattori congiunturali che con la guerra hanno subito un’ulteriore accelerazione”, ha detto il segretario generale Unione Italiana Vini (Uiv), Paolo Castelletti. “Il quasi completo azzeramento delle vendite presso i mercati emergenti coinvolti nel conflitto tra Russia e Ucraina - ha proseguito Castelletti -, ma soprattutto l’escalation dei costi di produzione, dell’inflazione e il crollo della fiducia dei consumatori sta creando una spirale particolarmente negativa sul vino italiano”. Allo stato attuale, Uiv stima un ulteriore aumento del costo medio di produzione per 400 milioni di euro, portando il surplus sui costi produttivi sui 12 mesi 2022 - che incidono ormai per oltre il 30% sul valore della bottiglia media - a 1,7 miliardi di euro.
“La congiuntura economica è indubbiamente complessa. Il conflitto russo ucraino ha ulteriormente aggravato un quadro già segnato dai rincari nella logistica e dagli aumenti dei prezzi delle materie prime (vetro +25%, cartone più che raddoppiato, tappi + 40%) che ogni giorno sempre di più mettono a dura prova gli operatori”, ha aggiunto il dg Federvini, Vittorio Cino. “Federvini, fin da subito, ha messo - ha aggiunto Cino - in luce questi aspetti, ora occorre sostenere le aziende vinicole con azioni promozionali mirate che facilitino l’accesso a nuovi mercati e che prevedano un serio supporto nell’internazionalizzazione. Non possiamo vanificare la ripresa che lentamente stavamo recuperando - ricordo che il vino ha raggiunto i 7,1 miliardi in valore export - le aziende del settore stanno dimostrando una resilienza straordinaria ma le incognite all’orizzonte sono tante”.
Eppure, il vino ha le carte in regola per superare questa fase, come sempre ha fatto con le grandi crisi internazionali. Con un peso dell’export medio sul fatturato del 66%, sottolineano Banco Bpme e Prometeia, il vino rappresenta oggi in molti mercati il primo prodotto del made in Italy alimentare. Un posizionamento crescente ha interessato l’Italia anche rispetto agli altri produttori internazionali con una quota sull’import mondiale che, nel 2021, ha raggiunto il 22% della domanda globale, ed una penetrazione sempre più efficace proprio nei segmenti a maggior qualità.

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