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“Valorizzare le vigne, quando sarà il momento, in modo meritocratico e non “democratico”, come altri territori potrebbero già fare. Biologico scelta etica, ma non garantisce più qualità”. Il presidente del Consorzio Franciacorta, Maurizio Zanella

Italia
Maurizio Zanella, presidente del Consorzio del Franciacorta

Sono le scelte meritocratiche, che scontentano qualcuno ma valorizzano i migliori e, a cascata tutti gli altri, quelle che “mettono il turbo” ad una denominazione, e non quelle “democratiche”, nel senso che accontentano un po’ tutti. A dirlo, a WineNews, Maurizio Zanella, uno dei manager-vigneron di maggior successo del mondo del vino, alla guida di Cà del Bosco e presidente del Consorzio del Franciacorta (www.franciacorta.net/it/home/).
“In futuro, in Franciacorta, andranno valorizzate le vigne, anche in etichetta e nel disciplinare - spiega Zanella - ma oggi qui non è ancora possibile, perché su 3.000 ettari di vigna, 1.000 hanno meno di 10 anni, il che vuol dire che tante cantine sono sul mercato da 2-3 anni. Aziende che vanno accompagnate in un processo di crescita, che non vuol dire fare da “carabinieri”, ma farle crescere in amore e cultura per questo lavoro, tale da renderli al livello, quando le vigne saranno più vecchie, degli altri attori della filiera. Perché l’unico “tallone di Achille” che, oggi, ha la Franciacorta, la denominazione che, negli ultimi 50 anni, secondo me ha fatto di più in Europa, è proprio la giovinezza.
“Quando questo processo - commneta Zanella - sarà concluso, e le 108 cantine del Franciacorta avranno un minimo comune denominatore che tutti noi giudicheremo confacente, si potrà iniziare a fare le valorizzazioni, non “democratiche”, ma meritocratiche, dei vigneti. Non so se ci riuscirà chi mi succederà, perché io sono alla fine del mio mandato, ma fare cose non accontentano tutti, in questo Paese, è molto complesso. La mia speranza, però, è che venga fatto un lavoro di meritocrazia sulle singole vigne, che potranno ambire alla denominazione di vigna solo dopo aver raggiunto certe caratteristiche. Se questo lavoro verrà fatto, sulle bottiglie di Franciacorta si potrà mettere il nome della vigna solo dove questo darà un plus alla denominazione, e quindi a tutti. Il contrario, ovvero metterlo già da oggi anche dove non c’è un effettivo valore aggiunto, sarebbe un danno collettivo”.
Se in Franciacorta si deve ancora aspettare, però, secondo Zanella, incalzato da WineNews, ci sono territori che per storia, se volessero, potrebbero e dovrebbero farlo in maniera più concreta di quanto non si faccia. Nomi pesanti: dalle Langhe a Montalcino, passando per il Chianti Classico, per esempio: “denominazioni e territori che hanno una storia e una tradizione - spiega Zanella - che noi non abbiamo. Perchè è vero che siamo partiti tutti 50 anni fa, in Italia, a fare vino di qualità, ma Montalcino, le Langhe o il Chianti Classico hanno una tradizione viticola, non enologica, di qualità, che ha secoli, ed è un vantaggio enorme che la Franciacorta non ha. Sono territori che, a livello viticolo, hanno una storia radicata che può dare subito, se si volesse, la possibilità, di fare scelte sulla singola vigna poco democratiche, ma meritocratiche, che però sono il turbo di una denominazione, che se individua le sue vigne più importanti e le valorizza, ha una ricaduta positiva su tutti i produttori. Ma, si sa, poi iniziano ad esserci le gelosie, il “perchè io no e tu sì, e questo accade in tutto il mondo. A Bordeaux, la classificazione - scherza Zanella - l’ha fatta Napoleone, non un democratico”.
Un pensiero netto, quello di Zanella, come altrettanto deciso è quello sul tema del biologico: una scelta etica, spiega, ma che non è garanzia di maggiore qualità. “Oggi chi fa agricoltura deve sentire l’obbligo morale e la necessità di difendere quello che ci ha regalato il “padre eterno”. Che, per così dire - precisa Zanella - è il nostro “socio di maggioranza”, è lui che determina tutto, quantità e qualità, e quindi ha il diritto di essere rispettato. L’uomo deve rispettare di più il terreno, le falde acquifere, il lavoro che fa. Con questo - spiega - non sto lanciando un sasso contro le multinazionali che fanno concimi, diserbanti o fitosanitari, perché da sempre nel mondo la tecnologia avanza. Però, in questo tipo di viticultura che premia la qualità assoluta, credo che sia imprescindibile il rispetto, che vuol dire mantenere inalterate le condizioni ambientali, e questo si fa con una scelta biologica.
Altro discorso, però, è dire che con questo tipo di viticultura faccio un vino più buono: qui non sono d’accordo. In qualche caso il vino biologico o da viticoltura biologica sarà simile, in qualche caso peggiore, in qualche caso migliore, ma non è un assioma il fatto che bio, a prescindere, mi darà in assoluto un prodotto migliore. Per me è una “non verità” su cui troppe persone marciano”.

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