Moda, economia, design, e adesso il vino: Milano si candida a capitale italiana del mondo enoico, con la Milano Wine Week che, da oggi al 14 ottobre, riunisce in una serie di eventi-degustazioni in giro per la città, una buona parte della produzione vinicola italiana. Con, ovviamente, i suoi grandi protagonisti, alcuni presenti alla conferenza a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, centro dinamico della City economica, che ha da poco accolto nel suo listino, come ha ricordato Raffaele Jerusalmi, ad di Borsa Italiana, due importanti realtà enoiche, Masi Agricola ed Italian Wine Brands. Un talk show che ha messo al centro il fil rouge della settimana: il futuro del mondo vinicolo italiano, che deve sicuramente trovare un’unità per poter fronteggiare la concorrenza, anche accanita, delle altre realtà enoiche sui mercati esteri. Trovando un nuovo trampolino, Milano, centro nevralgico non solo dell’economia, ma anche della gastronomia del Belpaese, specie dopo l’Expo 2015.
D’altro canto, anche il vino ha un cuore pulsante sempre più imprenditoriale e teso alla managerialità ed all’internazionalizzazione, ed è un dato di fatto, ma senza che questo aspetto comprometta il rapporto con i territori e la propria storia, come raccontano gli stessi imprenditori. “All’inizio per me investire tutto nel vino è stato quasi un gioco: poi abbiamo capito il vero potenziale che il nostro territorio, la Franciacorta, ha da offrire al mondo enoico”, ricorda Vittorio Moretti, proprietario della griffe Bellavista e presidente del Consorzio Franciacorta. “Così, siamo diventati il marchio che siamo oggi, creando anche con L’Albereta, con il grande contributo di Gualtiero Marchesi, un perfetto connubio tra vino, cucina e cultura”.
Oggi, non solo per la prossimità geografica, il ruolo di Milano è sempre più importante, a partire proprio dal rapporto con il territorio delle bollicine. Per noi è la piazza più importante d’Italia, quindi siamo presenti qui già da tempo, e la Franciacorta è un po’ il vino lombardo per antonomasia. Allo stesso tempo, Milano sta cambiando, la visione che il mondo ha di questa città: è sia turismo che finanza. Proprio sul turismo, sempre più incentrato sul vino, è una grande risorsa per le aziende del vino”.
A proposito di enoturismo, è Cristina Ziliani, consigliere delegato di Berlucchi, a sottolineare come “la Franciacorta avrebbe bisogno della spinta di Milano, ma a livello logistico c’è molto da fare. Berlucchi già nel 1981 apriva le porte a chi voleva farci visita, ma sono convinta che l’Expo abbia dato nuovo impulso al concetto di visita in cantina: il wine lover ha bisogno di essere coinvolto, specie i più giovani. È il primo passo verso una divulgazione importante, che dovrebbe iniziare già nelle scuole, da bambini, conoscere le proprie ricchezze vuol dire alzare il livello di consapevolezza e quindi la qualità media”.
Per il Gruppo Santa Margherita, che controlla Ca’ del Bosco, la Franciacorta è un fiore all’occhiello, ma anche un ponte ed un esempio per altri territori e denominazioni. “Milano e Franciacorta sono molto vicine, e non solo a livello geografico. Milano è una città viva - ricorda l’ad del Gruppo, Ettore Nicoletto - ricca, hub economico e culturale, che si lega naturalmente alla Franciacorta ed alle sue bellezze. Se i francesi sono più bravi di noi nella narrazione? Non sono d’accordo, solo che noi lo facciamo ognuno per proprio conto. Il progetto Franciacorta in questo senso è un bell’esempio di unità, cresce con attenzione e prudenza, posizionandosi a livelli di mercato decisamente alti. E questo è un benchmark, ossia un tratto distintivo, che potrebbe essere preso a modello anche da territori più grandi e che vivono una crescita sfrenata, come il Prosecco. La Franciacorta si sta assicurando un futuro soprattutto remunerando l’intera filiera”. Fuori dalla Lombardia, riprende Nicoletto, “abbiamo fatto due importanti innesti, nel territorio della Lugana ed in Sardegna, terre di grandi vini bianchi, com’è nel nostro Dna: cerchiamo il Pinot Grigio del futuro, e per noi è qui, tra Lugana e Vermentino Sardo. Il futuro ci porta in tantissimi altri territori, dove non siamo ancora presenti, penso alla Puglia, ma ci manca anche il Veneto Occidentale, ossia la Valpolicella e quindi l’Amarone. Ci vuole tempo, vanno prima metabolizzate le acquisizioni più recenti, e poi possiamo pensare a nuovi investimenti”.
In tema di investimenti e presenza sul territorio, il Gruppo Ferrari non è da meno ma, come ribadisce il Ceo Matteo Lunelli, “è ancora un’azienda familiare, ci facciamo garanti di certi valori, affrontando la trasformazione del mercato e conciliando quindi il radicamento sul territorio ed il cosmopolitismo necessario a crescere all’estero. Dobbiamo strutturarci, ma anche restare solidi sul territorio, con tutte le nostre aziende, creando delle sinergie”. In questo senso, l’ultimo arrivato nel portafoglio Ferrari, il Giulio Ferrari Rosé “è l’esempio di come vogliamo conquistare il vertice del mercato, quello dell’alta gamma. Milano in questo senso è una città capace di offrire un livello qualitativo, con ristoranti stellati e non, unico, che fa della città un punto di riferimento della gastronomia e dell’eccellenza in Italia”.
Controcorrente, almeno da un punto di vista di percorso intrapreso, la storia di Feudi di San Gregorio, ma pur “partendo dal Sud - racconta il presidente Antonio Capaldo - le sfide che abbiamo fronteggiato, lavorando con denominazioni meno conosciute, non sono state così gravose, e ci hanno persino temprato. L’Irpinia, del resto, è un territorio eccezionale, tra i pochi a vantare denominazioni rossiste e bianchiste. All’inizio, abbiamo puntato sugli autoctoni del Sud (Puglia, Basilicata ed Etna), per poi arrivare, più recentemente, in Friuli ed a Bolgheri. L’idea era quella di bilanciare la nostra offerta tra territori e tipologie diverse”.
Strategie diverse figlie di storie e strategie aziendali diverse, che possono portare anche ad investire fuori dai confini. “La nostra azienda - dice Domenico Zonin, presidente di Zonin - è presente in 7 Regioni italiane, per cui la prospettiva estera è diventata un processo naturale: siamo in Virginia e Cile, ma come società di importazione siamo già presenti in Usa, Uk e Cina. Non è un modello nuovo nel resto del mondo, ed è chiaro che quando l’internazionalizzazione aziendale prende piede gli investimenti all’estero diventano naturali, siamo pronti a crescere ancora, ma fuori dall’Europa. Ci piacerebbe molto la costa Ovest degli Usa, ma vedremo”.
E se gli investimenti sono legati a logiche produttive e commerciali, non tutto il mondo del vino risponde alle mode, come racconta l’ad di Pasqua, Riccardo Pasqua. “Il fenomeno delle mode è legato in particolare ad alcune categorie. Pensiamo al rosé, salvato e rilanciato dalla Provenza fino a diventare un fenomeno globale. Vini come l’Amarone sono slegati dal concetto di moda, come tutti i grandi d’Italia, dal Brunello al Barolo. Ora - continua Pasqua - dobbiamo schiacciare l’acceleratore sul tema della qualità e della notorietà come vino iconico non solo italiano ma internazionale. E questo passa anche nel voler posizionare il prezzo medio su livelli più importanti, l’aspetto che forse mette d’accordo tutti, noi (Consorzio della Valpolicella, ndr) e le Famiglie dell’Amarone ed il resto del tessuto produttivo”.
Idee chiare sulle dinamiche economiche, ma anche sul ruolo della politica e sulle priorità e le esigenze del mondo del vino. Per Riccardo Pasqua, “il Governo dovrebbe partecipare in modo attivo alle sfide che ci attendono, dall’internazionalizzazione alla finanza: dobbiamo aggredire commercialmente la Cina”. Per Cristina Ziliani, invece, “l futuro del vino passa per le giovani generazioni, sarebbe importante l’inserimento nei programmi scolastici della cultura del vino, sin dalle elementari”. Per Domenico Zonin il Governo ed il Ministero delle Politiche Agricole dovrebbero “coordinare in maniera migliore la promozione del vino nel mondo, mettendo fine a questa frammentazione che viviamo da anni. Bisogna aggregarsi intorno a qualcosa, e deve pensarci il Ministero”. Antonio Capaldo rispolvera invece un vecchio cavallo di battaglia: “io chiederei una grandissima semplificazione burocratica, il Testo Unico è stato una mezza occasione”. Importante, per Matteo Lunelli, “è presidiare l’Europa, dove le decisioni poi vengono prese anche sul vino. Credo che sia fondamentale che si sostengano le iniziative in cui il vino italiano si unisce per raccontarsi all’estero, anche ad altri mondi, come la moda o il design”. Secondo Ettore Nicoletto, “ci vorrebbero pianificazione e consapevolezza, non solo da parte del Mipaaft, ma anche da parte del Mise (Sviluppo Economico) definendo un organo unico che indirizzi e coordini gli sforzi che appartengono al mondo del vino”. Infine, la stilettata di Vittorio Moretti: “dovremmo annullare tutte le strutture che abbiamo in Italia per l’internazionalizzazione, e crearne un’altra, governata dai vignaioli, per promuovere il vino italiano all’estero”.
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