Non è un momento facile per il mercato dei vini dolci, segmento che rappresenta, però, una buona parte della storia enoica d’Europa. Che oggi fa il conto, però, con nuovi stili di consumi, gusti mutevoli, ed un cambiamento climatico che, con il global warming, impatta in maniera importante sulla produzione di vini che, spesso, devono fare i conti con la pratica antica e delicata dell’appassimento. Nondimeno, se la produzione “dolce” d’Italia, ma anche di Spagna, per esempio, vive nel complesso una sorta di “lotta per la sopravvivenza”, dalla Valpolicella con il suo Recioto alla Romagna, con l’Albana, fino a Jerez, in Spagna, con i suoi sherry, c’è chi non si arrende al declino dei vini dolci nei calici del mondo, e anzi rilancia per una loro modernizzazione, per renderli dei nuovi “classici contemporanei” capaci anche di riconquistare i giovani. Un lavoro messo in campo tanto da piccoli produttori che da grandi cooperative. Temi di cui si è parlato, nei giorni scorsi, nell’open day della Cantina Valpolicella Negrar (“Passione appassimento e futuro della cooperazione”), con realtà provenienti anche da Francia e Spagna.
“Un’occasione di confronto con realtà diverse fondamentale per guadagnarsi il futuro in un mercato globalizzato e sempre più aggressivo - ha sottolineato Daniele Accordini, dg ed enologo della storica cooperativa tra i principali produttori di Amarone, 230 soci e oltre 700 ettari di vigneto - ed un confronto con vini prodotti con diverse tecniche di appassimento delle uve, che è nella nostra cultura e tradizione per il Recioto e l’Amarone, e con una delle più grandi cooperative francesi che come noi imbottiglia tutti i vini, non lavora sullo sfuso e non si nasconde dietro aziende commerciali. Un momento di riflessione anche per stimolare la nostra forza vendita a crescere”.
Alla prova del bicchiere nella verticale di Amarone della Valpolicella Vigneti di Jago Domini Veneti della Cantina Valpolicella, si passa da un elegantissimo 2000 alla struttura più importante dell’annata 2013, attualmente in commercio. Probabilmente sono tendenze che annegano nella variabilità di stili con cui l’Amarone si presenta sui mercati “superiore a quella di altri vini - ha osservato Thomas Ilkjaer, giornalista danese esperto di vino, autore della più importante guida ai vini italiani nei Paesi del Nord Europa, significativi mercati di destinazione del rosso veronese - esistono “tanti” Amarone e questo rischia di far perdere l’identità a questo vino che è tra i più conosciuti dai danesi e molto apprezzato per struttura, potenza e piacevolezza. Si abbina bene alla nostra cucina, in particolare natalizia, e anche alla nostra abitudine di bere vino non solo a tavola. Tuttavia gli vengono mosse delle critiche: è troppo alcolico e “dolce”. L’Amarone si muove in una sorta di “triangolo delle Bermude” compreso tra il vino rosso, quello liquoroso e quello dolce. Inoltre pur essendo di lusso e caro, non è più raro. È popolare e questo lo fa piacere di meno agli esperti. Peraltro molto spesso il focus della sua comunicazione è posto sull’appassimento e non sugli altri fattori che lo rendono unico”.
Ed in un quadro in cui l’appassimento si fa ormai ovunque anche per colmare alcuni problemi legati proprio al cambiamento climatico la distintività non è un optional. E poi c’è da sgombrare il campo delle confusione tra zuccheri residui e morbidezza conferita dalla glicerina e dall’acido gluconico che insieme ad alcuni aromi contraddistinguono l’Amarone grazie all’appassimento lento e prolungato durante il quale, dopo la disidratazione, l’acino diventa una “fabbrica biochimica”.
“Non ritengo ci sia ancora molto spazio sul mercato danese per l’Amarone e il Ripasso - ha concluso Ilkjaer - perché stanno andando di moda vini freschi e fruttati e credo quindi ci sia un buon futuro per i Valpolicella con gradazione alcolica contenuta di elevata qualità”. Eppure chi porta vino su quei mercati spesso non trova corrispondenza tra le parole - “cerchiamo vini fruttati con acidità sostenuta” - e i vini scelti nei tasting alla cieca.
Se l’Amarone va, da tempo il suo “progenitore” dolce, il Recioto è divenuto un vino “residuale”, prodotto in numeri limitatissimi per pochi appassionati. Un destino condiviso da tutti i passiti nazionali e non solo. Le esperienze del passato per il loro rilancio o forse sarebbe meglio dire per la loro sopravvivenza, non hanno avuto esiti positivi. Sembra sfuggire a questo declino l’Albana di Romagna passito Docg nelle interpretazioni di Cristina Geminiani di Fattoria Zerbina (Ravenna) che l’ha portata a vertici qualitativi riconosciuti alla fine degli anni 80.
“Fin da quando sono arrivata in azienda volevo che l’Albana passito meritasse riconoscimenti - ha raccontato la produttrice, agronoma ed enologa, che ha preso in mano l’azienda di famiglia nel 1987. Ho studiato le condizioni per lo sviluppo migliore della muffa nobile sulle uve che appassiscono sulla pianta e pratiche agronomiche adeguate. È una produzione molto difficile e soggetta a condizioni meteorologiche non controllabili. Nel mercato dei passiti dolci probabilmente siamo un’eccezione avendo negli anni quintuplicato la produzione da 5.000 a 25.000 bottiglie. Ci favoriscono l’originalità del prodotto e i piccoli numeri”.
Eccezioni a parte, il vino passito dolce è in difficoltà in tutto il mondo. “Oggi questi vini trovano spazio ridotto sulla tavola - ha confermato Accordini a Winenews - ma fanno parte della tradizione e della storia. Devono essere reinterpretati uscendo da schemi prefissati. Le mode vanno e vengono, dobbiamo slegarli dal fine pasto e collocarli in altre occasioni di consumo”.
La contrazione non ha risparmiato i Vinos de Jerez de la Frontera - tra cui il Cream da uva Palomino con aggiunta di una certa quantità di vino dolce naturale e il Pedro Ximénez, vino dolce naturale - passati dai 20.000 ettari di un tempo agli attuali 7.000. “Bisogna “ringiovanire” i momenti di consumo - ha concordato Carmen Aumesquet, direttrice promozione del Consorzio Do “Jerez-Xérès-Sherry” y “Manzanilla-Sanlúcar de Barrameda”- proponendo i vini come “classici moderni”. In Jerez puntiamo, sempre nel rispetto della qualità, su consumatori più giovani, il cui palato è fondamentalmente dolce. Abbiamo il vantaggio di produrre vini storici, gastronomici e con forte valenza culturale e anche per questo siamo la regione enologica più visitata della Spagna. Al contrario uno svantaggio sono le molte tipologie di Sherry prodotte che confondono il consumatore”. Un “handicap” che il Consorzio combatte investendo ogni anno oltre 1,5 milioni di euro su eventi e professionalizzazione. Risorse a cui contribuiscono le aziende proporzionalmente ai volumi prodotti.
“Svolgiamo ogni anno un’intensa attività di formazione rivolta ad oltre 3.000 professionisti provenienti da tutto il mondo - ha proseguito Carmen Aumesquet - organizziamo, inoltre, una competizione internazionale di chef e sommelier per trovare la perfetta armonia con lo sherry, un forum in cui figure della gastronomia internazionale approfondiscono gli abbinamenti fra tendenze gastronomiche e vini Jerez. Infine un festival mondiale promosso solo attraverso i social network che nella sua ultima edizione ha raccolto più di 2.500 eventi in 40 Paesi. Come nuova occasione di consumo oggi proponiamo il Cream, la nostra tipologia più importante, in un bicchiere corto con ghiaccio e una fetta di arancia naturale. Ciò dà un’altra percezione e una visione meno rigida e seria”.
Nella regione di Jerez l’invecchiamento dei vini avviene in grandi e spettacolari cantine, mentre a produrre sono le cooperative, ancora a servizio dei privati, come succedeva in Valpolicella negli anni 90 del secolo scorso.
“Il valore sociale della cooperazione è elevatissimo - ha sottolineato Accordini a questo proposito. Passando dalla vendita di sfuso ai privati all’imbottigliamento di quote sempre maggiori del vino prodotto, in Italia la cooperazione negli anni 2000 ha fatto un salto di qualità. Oggi Cantina Valpolicella Negrar imbottiglia il 100% della produzione ed esporta in 39 Paesi e per questo dobbiamo ringraziare anche alcuni brand privati che hanno dato un grande contributo al successo delle nostre denominazioni. La cooperazione dà reddito al tessuto sociale del territorio su cui insiste e reinveste su di esso, diversamente da quanto fanno molti privati. Lavoriamo bene e il nostro punto di forza è il buon rapporto qualità prezzo. Abbiamo comunque e sempre da imparare, come stasera ci ha dimostrato il racconto dell’esperienza di Les Vignerons de Tutiac di Bordeaux”. Si tratta della più importante realtà cooperativa di Francia, fondata nel 1974, con 450 soci viticoltori che lavorano vigne distribuite a nord della Gironda, sulle denominazioni Bordeaux, Blaye Côtes de Bordeaux & Côtes de Bourg. Un colosso da 40 milioni di bottiglie, 8 centri di vinificazione e 2 di imbottigliamento, frutto di diverse fusioni, all’avanguardia nella gestione di vigneto e cantina e nel marketing. Capace di adeguare produzione e packaging ai diversi mercati di esportazione, vanta una gestione che trae stimoli da una sorta di “consiglio ombra” costituito dai soci più giovani, che dialoga e si confronta con il consiglio in carica. Les Vignerons de Tutiac è anche la prima cooperativa ad aver aperto un proprio winebar nel centro di Bordeaux.
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