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“VINITALY IN THE WORLD” (4/6 NOVEMBRE, A HONG KONG) - EMERGERE, PIUTTOSTO CHE UN MERCATO EMERGENTE. ECCO IL “SENTIMENT” CHE ARRIVA DALL’ASIA PER PRODUTTORI E BUYER. HONG KONG, ISOLA FELICE CHE, DAL 2008, HA VISTO SPARIRE DAZI D’ENTRATA PER IL VINO …

Italia
Cina, un mercato in cui emergere, piuttosto che un mercato emergente

Un mercato in cui emergere, piuttosto che un mercato emergente. Ecco com’è una delle terre promesse del futuro del vino italiano e mondiale, la Cina, come emerge dal seminario tra produttori italiani e buyers cinesi, moderato da Stevie Kim, senior advisor della direzione generale di Verona Fiere, di scena nel “Vinitaly in The World” ad Hong Kong, nell’“International Wine & Spirits Fair” del Paese asiatico, seconda tappa del nuovo percorso di formazione sui mercati esteri per le cantine italiane, iniziato con l’appuntamento americano del “Vinitaly Woerld Tour” di VeronaFiere.

Un mercato in cui il vino non è un abitudine alimentare, tanto che il consumo procapite all’anno (dati 2009) è di 0,7 litri, che, in un Paese da 1,4 miliardi di abitanti vuol dire 980 milioni di litri, ma che, secondo gli operatori del settore, potrebbe quintuplicare e arrivare anche 5 litri procapite all’anno nel giro di 2-3 anni. E dove il vino italiano è poco più che un’illustre sconosciuto. Come quasi tutti gli altri vini stranieri, per altro, ad eccezione di quello di Francia, da 20 anni presente sotto la “Grande Muraglia”, e che ha anche una sua scuola di formazione ed un ufficio permanente di promozione del suo vino a Pechino. Avere dati precisi sulla Cina è difficilissimo, ma le stime parlano di un mercato fatto al 90% di vini nazionali, e al 10% di nettari di importazione, con la produzione domestica in crescita per qualità e quantità, con grandi gruppi come Cofco, il più grande importatore di wine & food della Cina, che non compra più vini dall’estero, ma direttamente vigneti e cantine. E dove la fascia di prezzo che va per la maggiore è quella dei vini tra i 3 e i 4 dollari allo scaffale, ovvero che, considerate spese di trasporto, dazi e margini di importatori e distributori (che puntano più su grandi numeri che su alti margini di ricarico) partono ad 1 dollaro dalla cantina.

Fondamentale, dunque, capire quali sono i criteri con cui i buyer cinesi scelgono il vino italiano, presente in percentuale davvero minima.

Primo: non sono loro ad aver bisogno di cercare i produttori, ma sono i produttori a dover cercare loro. Fondamentale, in questo senso, il ruolo delle fiere asiatiche, siano in Cina, Hong Kong o Giappone (e in cui i produttori devono muoversi sempre più insieme e con una regia riconoscibile) che, in una giungla economica come quella cinese, spesso, sono l’unico possibilità di un primo contatto con operatori abituati a contrattare direttamente vedendo i prodotti, e non ordinando da “catalogo”.

Secondo: territorio, storia, blasone, vitigno vengono ampiamente dopo altre due categorie di scelta che possono far storcere il naso ai cultori di Bacco, ma tant’è: prezzo e immagine del prodotto, nel senso del design della bottiglia.

Terzo, i cinesi non vogliono cantine che una volta che hanno venduto il prodotto si fermano lì: quella che cercano è la pazienza (ovvero la disponibilità a incassare dopo che il distributore ha venduto il vino sul mercato cinese), la fiducia, la collaborazione, anche nel senso della divisione dei costi di promozione, azione fondamentale in un mercato che nelle città più importanti è già ampiamente concorrenziale, e che vede le maggiori possibilità di sviluppo nelle tantissime città di “secondo livello” in termini di capacità di spesa.

Un quadro difficile, che richiede un cambiamento di mentalità profondo per chi vuole sfondare in questi mercati, ma una sfida che, se vinta, promette grandi soddisfazioni, al punto che i margini di crescita per il vino italiano, nei prossimi 10 anni, sono superiori al 100%.


Focus - Il mercato di Hong Kong

Nel complesso panorama cinese, c’è anche la singolare variante del mercato di Hong Kong. isola felice, che dal 2008 ha visto sparire i dazi d’entrata per il vino. Anche se i numeri non sono altissimi, un mercato importante in termini di immagine, un’isola tutta dedicata al business dove gira una clientela con un alto potere di acquisto. Dove il valore totale dei vini importati è di 516 milioni di dollari, con la Francia che detiene il primato per quota di mercato delle etichette straniere (33%) e per valore (171 milioni di dollari), con l’Italia alla posizione n. 7, con una quota del 2,2% per 12 milioni di dollari.

Un mercato che, però, è fortemente orientato alla richiesta di vini di qualità, come testimonia l’andamento delle aste enoiche: Hong Kong si candida a diventare il primo Paese per l’incanto di vino, tanto che Sotheby’s, che nella sua prima asta sull’isola in aprile 2009, ha totalizzato 6,4 milioni di dollari di incasso, cifra superiore alle 5 aste organizzate nella prima metà 2009 a Londra.

Tra le tipologie di vino, i “rossi” strapazzano i “bianchi”, con un valore esportato di 460 milioni di dollari contro 21 milioni, seguiti a distanza da spumanti e vini liquorosi.

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