L’Italia del vino regge all’urto della pandemia nel 2020, almeno sul fronte delle esportazioni, dove sarà calo, ma contenuto. In un quadro sconvolto al Covid, le bollicine, nel complesso, fanno peggio dei vini fermi, e non accadeva dalla crisi economico-finanziaria del 2009. A dirlo le stime dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, presentate oggi a Wine2Wine by Veronafiere & Vinitaly, secondo cui per l’Italia, che, nel 2020, chiuderà il proprio export con un -4,6% a valore (6,1 miliardi di euro) sull’anno precedente, gli effetti saranno complessivamente più leggeri rispetto al trend globale (-10,5%) e ancora di più sul principale player del settore, la Francia, costretta a rinunciare al 17,9% delle proprie esportazioni. Un quadro confortante se si considera l’aumento delle quote di mercato guadagnate dal vigneto Italia; allarmante se si considera l’asimmetria di un dato generale che cela forti ribassi in diverse fasce, a partire dalle piccole imprese ad alto tasso qualitativo. In termini assoluti, la contrazione del valore delle importazioni mondiali di vino stimata (su base doganale) sarà di oltre 3 miliardi di euro rispetto al 2019, soprattutto per effetto delle mancate vendite per oltre 1,7 miliardi di euro del suo market leader, la Francia. La previsione sull’Italia si ferma, invece, a -300 milioni di euro, complice anche il boom (+15%) delle esportazioni nel primo bimestre dell’anno, che ha attenuato il passivo.
“Il dato generale sulle stime previsionali - sottolinea il dg Veronafiere, Giovanni Mantovani - dimostra come l’Italia sia stata in grado di opporre anticorpi efficaci alla crisi. Il rapporto qualità-prezzo, una più variegata diversificazione dei canali di vendita e lo scampato pericolo dei dazi aggiuntivi negli Stati Uniti hanno consentito di ridurre le perdite all’estero, ma il rovescio della medaglia è fatto di tante piccole e medie aziende del vino che, al contrario delle altre, hanno perso i propri riferimenti commerciali - in particolare dell’horeca - e stanno pagando uno scotto molto più rilevante della media. È questo segmento, decisivo per il nostro made in Italy, che occorrerà salvaguardare sin da subito”.
Nel dettaglio, infatti, emerge che tengono, e talvolta incrementano, le aziende italiane maggiormente presenti sui canali di vendita della Gdo, spesso imprese di dimensioni medio grandi con numeri importanti. Calano invece, anche oltre il 50%, le medio-piccole orientate sui canali retail e nell’horeca. E gli sparkling, (-5,7%) simbolo del fuori casa e della festa, fanno peggio dei fermi (-4,5%) per la prima volta dopo 11 anni (2009). Giù il prezzo medio all’export dell’intera categoria di oltre il 9%, mentre i fermi perdono il 2%.
“Uno dei principali rischi che derivano dalla riduzione delle importazioni nei mercati di sbocco più importanti, unito alla diminuzione della domanda sul mercato nazionale - sottolinea il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, che, a WineNews, ha stimato un calo complessivo del giro d’affari di -15% per il vino italiano, con perdite soprattutto sul mercato interno - è quello di un decremento dei prezzi di vendita dei nostri vini che vanificherebbe tutti gli sforzi messi in campo in questi anni per un miglior posizionamento di prezzo delle nostre produzioni, con effetti a catena su tutte le imprese e denominazioni. Un rischio concreto, se si pensa che quasi 2 aziende intervistate su 10 nell’indagine qualitativa hanno dichiarato che per contrastare la riduzione degli acquisti e delle forniture stanno pensando a sconti/promozioni per attirare la clientela”.
Come detto, in ogni caso, il Belpaese sembra aver retto contenuto il danno rispetto ai competitor. Il -4,6% a valore per il vino italiano stimato dall’Osservatorio Vinitaly Nomisma, è frutto delle stime previsionali sui principali mercati del commercio mondiale del vino, oltre ai focus realizzati in alcuni tra i principali Paesi buyer analizzati (Usa, Germania, Uk, Cina, Giappone, Russia e Australia). Il Belpaese riuscirà a contenere le perdite e a incrementare sensibilmente le quote di mercato nei suoi 2 principali mercati chiave - gli Stati Uniti (-2% a valore, a 1,7 miliardi di euro) e la Germania (-3%, a 918 miliardi di euro). Un risultato che rappresenta una mezza vittoria se si considera che il calo generale delle importazioni statunitensi (-10,1%, con la Francia a -23%) è di 5 volte superiore al dato italiano, mentre per la Germania la variazione media dell’import è del -7,7%. Stop significativo invece nel Regno Unito, sempre più lontano dalle forniture europee, con i produttori di Italia e Francia che perderanno rispettivamente il -12,1% e il -16,7%, a fronte di una variazione positiva della domanda sul “Nuovo mondo” di quasi il +5%. Prosegue la contrazione del mercato cinese (-32% sul prodotto Italia, -29% la variazione totale) e di quello giapponese, che vira in negativo (-15,1%) dopo l’exploit del 2019, così come il Canada (-7,7%). Giù anche la domanda australiana (-3,8%) e russa, che con un valore previsto di 279 milioni di euro segnerà un calo per il vino tricolore del 7,5%. La performance italiana risulta infine generalmente meno deficitaria rispetto ai competitor grazie alla tenuta di alcune piazze di peso, come la Svizzera (+4,3%) e la Svezia (+2,2%) tra le pochissime a presentare luce verde.
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