L’apertura dell’Unione Europea ai vitigni “resistenti” anche per i vini a denominazione, secondo molti, è “una svolta epocale” per il settore che, come tanti altri comparti, deve fare i conti con un mondo che cambia e con la lotta al cambiamento climatico, con tutto quello che comporta. Ma se molti sono a favore e vedono in questo un’opportunità importantissima, come spiegato a WineNews nei giorni scorsi dal professor Attilio Scienza, docente di viticoltura dell’Università di Milano e considerato un luminare del settore, c’è anche chi in questo vede un rischio per il futuro. Come l’associazione Biodistretto del Chianti, guidata da Roberto Stucchi Prinetti, produttore con Badia a Coltibuono, e di cui fanno parte tante realtà importanti e storiche del territorio del Chianti Classico, da Fontodi a Il Palagio, da Cafaggio a Castello d’Albola, da Conti Capponi a Felsina, da Dievole a Nittardi, da Lamole di Lamole a Villa Pomona, da Querciabella a Bibbiano, da Tolaini a Vignamaggio, a Castello di Meleto, per citarne alcune.
“La notizia del “via libera” dell’Unione Europea ee all’introduzione dei vitigni cosiddetti “resistenti” è per noi motivo di allarme e preoccupazione - spiega l’associazione in una nota inviata a WineNews - e come Biodistretto del Chianti ci sentiamo chiamati ad intervenire per chiarire alcuni aspetti per noi essenziali. La spinta ad accelerare l’introduzione dei vitigni “resistenti” è esplicitamente giustificata dalla considerazione, espressa dal professor Scienza più volte, che la viticultura biologica è un mito e non una realtà. La realtà è, invece, quella di una crescita continua del bio che nel Chianti Classico - scrivono i produttori del Biodistretto del Chianti - ha superato il 50%. Siamo a buon punto anche nel trovare alternative al rame e allo zolfo per prevenire peronospora e oidio, quindi accelerare proprio ora una introduzione massiccia di vitigni ibridi “resistenti” è ingiustificato. Sarebbe corretto, invece, investire di più nella ricerca di soluzioni diverse, coerentemente con le conoscenze espresse dall’agroecologia. Al contrario autorizzare i vitigni “resistenti” avrebbe l’effetto di diminuire la biodiversità incentivando l’impianto di vigneti con bassa variabilità genetica. La “resistenza” di queste varietà nel tempo poi è tutta da dimostrare: l’esperienza e l’agroecologia indicano che ci sarebbe un rischio importante di sviluppo nel tempo di ceppi resistenti delle malattie fungine. Questo danneggerebbe tutti i viticoltori a lungo termine a fronte di un vantaggio limitato e tutto da dimostrare”.
Secondo il Biodistretto del Chianti, “particolarmente preoccupante, poi, è l’ipotesi di permetterne l’uso nelle denominazioni di origine: questo sarebbe uno stravolgimento di uno dei valori aggiunti fondamentali delle denominazioni e dell’agricoltura biologica, cioè la territorialità. Il patrimonio di variabilità genetica e clonale è da preservare e valorizzare, e vanno evitate scorciatoie come quella rappresentata da questi ibridi. L’altro effetto estremamente negativo sarebbe la spinta ad estendere gli impianti di vigneti in zone non vocate, cosa davvero inopportuna e che indebolirebbe ulteriormente le aziende di piccola e media dimensione che sono l’ossatura del sistema e che vanno invece incentivate”. Insomma, una strada che proprio non piace al Biodistretto del Chianti, che parla per voce del presidente Roberto Stucchi Prinetti. “Come in altri casi - scrive ancora l’associazione - si tratta di una scorciatoia che favorirebbe la viticoltura più aggressiva dal punto di vista ambientale e sociale. È anche molto preoccupante l’invito ad accelerare l’uso di tecniche di editing genetico come l’Nbt, tecniche che sono state giustamente criticate dalle associazioni del Biologico per i rischi che comportano. La viticoltura biologica orienta le scelte colturali verso le vocazioni territoriali e guida le pratiche agronomiche verso il mantenimento della fertilità del suolo e dell’equilibrio dell’agroecosistema. Questa è la strada maestra che va perseguita e per questo chiediamo di respingere questa spinta ad accelerare l’introduzione di ibridi che potrebbero danneggiare la parte più autenticamente innovativa della nostra viticoltura”. Il dibattito, come sempre, è aperto, su una tematica che, inevitabilmente, terrà banco nei prossimi mesi, e che sarà cruciale per il futuro del mondo del vino.
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