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DOMANI, 1 NOVEMBRE

“World Vegan Day”: cresce il plant based made in Italy che vale 640 milioni di euro

Secondo il Rapporto Eat-Lancet 2025, con la “Dieta della Salute Planetaria” si potrebbero evitare 15 milioni di morti e ridurre le emissioni del 15%
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Domani è il “World Vegan Day”

Ridurre il consumo di carne non è solo una scelta etica: secondo il Rapporto 2025 della Eat-Lancet Commission, che riunisce esperti internazionali in nutrizione, salute, agricoltura, economia e sostenibilità ambientale di 17 Paesi, condotto dal professore Johan Rockström dell’Istituto di Potsdam per la Ricerca sull’Impatto Climatico, e pubblicato sulla rivista “TheLancet”, in occasione del “World Vegan Day”, la Giornata Mondiale del Veganesimo” di domani, 1 novembre, adottare la “Dieta della Salute Planetaria” - il modello alimentare che unisce benefici per la salute umana e sostenibilità ambientale, ndr - su scala globale potrebbe abbattere del -27% il rischio di morte prematura, evitando fino a 15 milioni di decessi ogni anno e riducendo drasticamente malattie croniche come cancro, diabete e patologie cardiovascolari. Ma anche l’impatto ambientale sarebbe enorme, con una diminuzione delle emissioni di carbonio legate alla produzione alimentare di oltre il 15% sul 2020.
La Commissione nasce con l’obiettivo di guidare pubblico e decisori nella trasformazione dei sistemi alimentari per garantire una dieta sana e sostenibile, compatibile con una popolazione che, secondo le stime, raggiungerà 9,6 miliardi di persone entro il 2050. Motivo per cui il rapporto indica la necessità di una transizione verso un’alimentazione basata su cereali integrali, frutta, verdura, legumi e frutta secca, riducendo in modo significativo l’apporto di proteine animali. Per centrare l’obiettivo servirebbe aumentare la produzione di legumi del +190% e quella di verdure fino del +42-48%, mentre quella animale dovrebbe calare del 22-27%. In Italia il trend è già avviato: il 59% degli italiani sta riducendo il consumo di carne, principalmente per motivi di salute (47%) e sostenibilità (26%), come evidenziato negli Stati Generali delle Proteine Alternative (Sgpa), nei giorni scorsi a Milano.
Si parla pur sempre di scelte di nicchia, ma si tratta di un trend che merita una forte attenzione da parte della politica e dell’opinione pubblica e che si inserisce in un contesto mondiale che vede un aumento costante di persone che scelgono proteine alternative a quelle animali. Il plant based è ormai un fiore all’occhiello del made in Italy, con un giro d’affari di 640 milioni di euro e una crescita del +16,4% rispetto al 2022 e del +7,6% rispetto al 2023, frutto di una forte impennata negli ultimi anni che ha trainato anche la filiera agricola, spesso biologica, alla base della produzione. In Europa, il settore vale 6 miliardi di euro e vede l’Italia al terzo posto per produzione e consumi, dietro Germania e Inghilterra.
Non è un caso che le maggiori aziende del comparto come Biolab sia passata da 8 milioni di fatturato di 8 anni fa a 26 milioni nel 2026, contando 170 dipendenti. Ma Biolab denuncia anche misure “irrazionali” dell’Ue che “ostacolano la transizione green e penalizzano un comparto in forte espansione”. Come il divieto al “meat sounding”, ovvero l’utilizzo in etichetta di denominazioni che richiamano alla carne, una misura denunciata anche da Lega Antivivisezione (Lav). “Una scelta che protegge la lobby della carne, che è sempre più in difficoltà, e penalizza l’unica alternativa valida alle proteine animali - spiega il fondatore Massimo Santinelli - la politica, invece di scoraggiare il consumo di proteine vegetali, dovrebbe incoraggiarne la produzione e contribuire a informare i consumatori spingendoli sempre più verso scelte in linea con le esigenze di una reale transizione ecologica non più rimandabile”.

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