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L’APPELLO

“Ripartiamo dalla terra”: le richieste di Slow Food al Governo per rilanciare le filiere virtuose

Carlo Petrini: “è l’ora delle scelte, credito di imposta anche ai ristoratori. Non ripetiamo errori di un secolo superbo e sciocco”

L’aveva detto subito, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food: la crisi sanitaria e l’emergenza legate alla pandemia di Covid-19 sta mettendo tutti di fronte ad un mondo nuovo, tutto da costruire, rimettendo in discussione modelli economici e produttivi divenuti, in certi casi insostenibili. Adesso, però, come scrive lo stesso Petrini dal sito di Slow Food, è “il momento delle scelte. La pandemia che abbiamo attraversato e che stiamo ancora fronteggiando può essere occasione di rinascita, opportunità di ripensare un modello di sviluppo che ci ha trascinati nella gigantesca crisi climatica, o può diventare l’alibi per portare avanti, in nome della ripresa, politiche scellerate, le stesse che negli ultimi 50 anni hanno devastato il pianeta”.
Ed è proprio dal mondo agricolo che deve arrivare il segnale forte, di cambio di passo, perché “nel settore agroalimentare, le risorse importanti che giustamente il decreto Rilancio mette a disposizione possono prendere due strade diverse. Possono andare a vantaggio di un sistema che ha inquinato il suolo e l’acqua, generato ingiustizie sociali e compromesso la salute dei cittadini. Un sistema alla base di storture inaccettabili, come i cibi scadenti prodotti sulla pelle di tanti lavoratori sfruttati e venduti sottocosto in Africa (il Ghana, per esempio, è inondato ogni anno da milioni di tonnellate di salsa di pomodoro italiana, oppure cinese confezionata in Italia) o come lo spreco alimentare, che non è danno collaterale, ma meccanismo necessario alla sopravvivenza di un sistema di produzione basato sulla costante crescita dei consumi. Oppure - rilancia Carlo Petrini - possono rilanciare soprattutto le filiere locali virtuose, quelle che garantiscono cibo buono e sano, che custodiscono il territorio e lo preservano dal dissesto. Durante la quarantena queste realtà hanno spesso dimostrato una straordinaria capacità di resilienza, inventandosi forme nuove di vendita diretta, organizzando azioni di solidarietà. Ma erano e sono filiere fragili, delicate, troppo spesso ignorate e dimenticate dalle politiche di sviluppo rurale. E oggi rischiano il collasso più di prima”.
Ma quelle del fondatore di Slow Food non sono solo belle intenzioni, al contrario, diventano proposte concrete, contenute nell’appello “Ripartiamo dalla terra”,
con cui “Slow Food propone al Governo un provvedimento a sostegno di queste economie. Non tratta di un contributo a pioggia, di un provvedimento assistenziale, ma di una leva che potrebbe innescare un effetto moltiplicatore, facendo aumentare la domanda di prodotti locali. Chiediamo di estendere il credito di imposta, già previsto per alcune spese legate all’emergenza Covid-19, ai ristoratori, alle strutture di accoglienza turistica e agli altri locali di somministrazione alimenti, per l’acquisto di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legati a filiere locali, dove per locale si intende la dimensione regionale. Questo significa che se un ristorante ha costi di acquisto (per questa tipologia di prodotti) pari ad esempio a 10.000 euro - spiega ancora Petrini - potrà usare il 20% di tale somma, cioè 2.000 euro, per compensare le tasse o i contributi che deve pagare per i propri dipendenti. Il credito di imposta sale al 30% se i ristoratori si rivolgono ad aziende che praticano un’agricoltura biologica o biodinamica, che si trovano in aree montane e all’interno di aree protette. Questo meccanismo fiscale può avere straordinarie ricadute su un intero sistema economico e sociale, coinvolgendo cuochi (dagli osti di paese agli chef stellati), contadini, allevatori, pescatori e artigiani di piccola scala, strutture alberghiere (dai rifugi alpini agli hotel), botteghe”.
Ed è qui che entrano in gioco le migliaia di comunità e sistemi locali che
“rappresentano la parte migliore del Paese, quella che si prende cura dei paesaggi rurali, della biodiversità, della cultura, delle ricchezze artistiche e architettoniche, della salute dell’ambiente e dei cittadini. Quella che si fa custode di bellezza e sapere. E che fa economia, non solo poesia. Un’economia sana, di relazione, basata sulla solidarietà sociale e non sul cannibalismo dei forti a svantaggio dei più deboli, basata sulla cura e sul rispetto e non sulla depredazione delle risorse naturali. Slow Food, coinvolgendo imprese, fondazioni e istituzioni, sta creando un fondo per sostenere in tutta Italia queste comunità, che a noi - ricorda il fondatore di Slow Food - piace definire comunità del cambiamento. Con questo appello chiediamo alla politica di fare la sua parte. Chiediamo di fare una scelta. Di non ripetere gli errori di un “secolo superbo e sciocco” che è riuscito, infine, a togliere ai giovani il bene più prezioso: l’ottimismo verso il futuro”.
Ne va del futuro stesso del Paese, perché come ricorda ancora Petrini “l’eccellenza del cibo italiano, insieme ad altre (come il design e la moda), è il principale punto di forza dell’immagine dell’Italia in tutto il mondo. E, se è indiscutibile il ruolo delle grandi imprese, è indubbio che la narrazione del nostro territorio si regge totalmente sul patrimonio costruito nel corso dei secoli dalle comunità locali ed è legata in modo indissolubile alla qualità delle materie prime e alla salvaguardia dei paesaggi rurali. Insieme alla legge contro le aste al doppio ribasso, che ci auguriamo venga approvata al più presto, questo provvedimento sul credito di imposta sarebbe un altro passo politico fondamentale per sostenere chi produce cibo buono, pulito e giusto. Chiediamo alle forze politiche - conclude il fondatore di Slow Food - di raccogliere e portare avanti questa proposta, perché il futuro del nostro Paese, ne siamo convinti, non può che ripartire dal rispetto per la terra”.

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