Ci sono storie, come quella dei vini di Bordeaux, vissute per secoli sulla cresta dell’onda, capaci di rinnovarsi sempre nel solco di una tradizione granitica, celebrata da libri come “Bordeuax Legends”, l’opera della “penna” di Decanter Jane Anson che racconta la storia e gli aneddoti della città girondina attraverso quella dei cinque “chateaux” (dal 1855 i Première Cru Classé di Bordeaux: Haut Brion, Latour, Margaux, Lafite-Rothschild e Mouton-Rothschild) e delle famiglie che l’hanno resa celebre in tutto il mondo con i loro vini. Ma il tempo passa, e qualcosa, anzi molto sta cambiando, alla stessa velocità con cui sta cambiando il mondo. Intanto la “bilancia” economica mondiale, che non pende più ad Occidente, come è stato per secoli, ma ad Oriente, portando decine di “tycoon” asiatici ad investire proprio sulle sponde della Garonna (l’ultimo è Zhi Gen Lai, che ha rilevato Château Bel-Air dall’ex proprietario Philippe Moysson, come sempre a cifre ben superiori al valore di mercato, perché comprare uno “château”, più che un investimento, è il coronamento di uno status symbol). Ma l’apertura ad Oriente, se da una parte significa linfa per la depressa economia europea ed enormi possibilità di crescita in un mercato dalle potenzialità incalcolabili, dall’altro pone problemi nuovi, su tutti quello della contraffazione. Tanto l’ex Primo Ministro francese Jean-Pierre Raffarin ha ricordato in un’intervista rilasciata al quotidiano “L’Union” come “si vende più Bordeaux in Cina di quanto se ne produca in realtà”. Un dato che trova conferma anche dall’Union des Fabricants, che stima che il 65% di vino di Bordeaux venduto in Cina sia in realtà contraffatto. E allora, come si fa a preservare una ricchezza economica, sociale e culturale vecchia di secoli? Attraverso l’innovazione, ancora di salvezza della tradizione. A pensarla così, tra gli altri, Jean-Luc Barbier, direttore generale dell’interprofession champenoise, che spiega come “la sfida, oggi, è quella di mettere a punto un dispositivo sofisticato, non duplicabile ed indistruttibile, che permetta di distinguere il falso dall’autentico senza aprire la bottiglia”. Caratteristiche cui risponde la tecnologia Prooftag, messa a punto da GeoWine, ma ce ne sono tante altre pronte sul mercato, sfruttando le potenzialità del marketing mobile e della doppia tracciabilità, così da rendere praticamente impossibile qualsiasi velleità da parte dei contraffattori dell’Estremo Oriente. E non è tutto, perché dove non arriva la tecnologia (che a volte si scontra con i tempi della burocrazia), arriva il buon senso, come nel caso dei 6 “wine merchant” indipendenti, Adnams, Berry Bros & Rudd, Corney & Barrow, Lea & Sandeman, Tanners, Yapp Brothers, riuniti sotto uno stesso tetto, “The Bunch”, che hanno deciso di puntare sull’autoregolamentazione, e quindi sul ferreo controllo della provenienza dei loro vini, per difendersi dal pericolo contraffazione. Come spiega Adam Brett-Smith, a capo della Corney & Barrow e rappresentante di turno della “The Bunch”, “l’obiettivo è migliorare il nostro codice di condotta. Dobbiamo concentrarci sulla provenienza, includendo tra le informazioni la provenienza dell’acquisto, come è stato spedito, se sia stato comprato direttamente o attraverso un intermediario”.
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