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LA RIFLESSIONE

I grandi vini sono solo i “vini di luogo”, nati dalla sinergia tra territori, uva e lavoro dell’uomo

Il messaggio di “Reincontrare Giulio Gambelli”, by Podere Forte: “leggere il messaggio del luogo attraverso la degustazione geo-sensoriale”

Dalla Borgogna alla Langhe, da Bordeaux a Montalcino, alla Val d’Orcia Patrimonio Unesco che unisce la terra del Brunello e la Montepulciano del Nobile, le differenze sono tantissime, ma un tratto comune c’è: sono terre di grandi vini. Ed i grandi vini, i fine wines, non possono che essere “vini di luogo”, espressione della simbiosi tra suolo, vitigno e lavoro dell’uomo, così come un concerto è frutto di uno spartito (il suolo) e di strumenti (i vitigni) suonati a suo modo dal musicista (il produttore), capaci di raccontare molto di più di quello che è dentro al bicchiere, e di suscitare emozione. Riflessione che oggi, in una narrazione del vino dove a fare “grande” una bottiglia sono spesso più i punteggi della critica ed i prezzi che altro. Messaggio ribadito nel ricordo del più grande maestro del Sangiove e cultore della territorialità del vino, Giulio Gambelli, nell’appuntamento “Reincontrare Giulio Gambelli”, di scena a Rocca d’Orcia, nella Chiesa seicentesca di San Simeone, con la regia di Podere Forte di Pasquale, Forte, che sotto il tema di “Leggere il messaggio del luogo attraverso la degustazione geo-sensoriale”, ha riunito produttori e cantine da alcuni dei più importanti territori d’Italia e di Francia, come Giacomo Conterno, Ceretto e G. D. Vajra dalle Langhe del Barolo, Casanova di Neri, Argiano, Biondi Santi, Canalicchio di Sopra, Cupano, Poggio di Sotto e Azienda Agricola San Giuseppe da Montalcino, Bibbiano dal Chianti Classico, Domaine Laroque d’Antan, Domaine Charlopin, Domaine Boris Champy e Domaine Rougeot dalla Borgogna, Tenuta di Trinoro e Podere Forte dalla Val d’Orcia, Chateau Climens e Liber Pater da Bordeaux (le interviste su WineNews).
“Un simposio sul vino che è vettore di fratellanza, di pace e amicizia, nel ricordo di Giulio Gambelli che ho avuto la fortuna di incontrare e con cui ho lavorato, un uomo buono, prima di tutto - ha detto Pasquale Forte - che aveva un “laboratorio in testa e in bocca”, una memoria mai vista, sapeva riconoscere da quale botte veniva un vino degustato, un uomo mite, un grande esperto che ha iniziato la sua carriera a 14 anni, e che ha avuto un grande maestro che è stato Tancredi Biondi Santi. Padre di grandi vini che raccontano, ancora oggi, i luoghi da cui sono nati. Vini che sono messaggeri dei luoghi, di storia, di cultura, del valore della Terra. Ne abbiamo solo una, di Terra, e non possiamo non amarla, è una delle bellezze dell’universo, estremamente generosa, anche quando la trattiamo male, e a volte, ci dà alcuni segnali. L’abbiamo fatta ammalare, e dobbiamo tornare ad abbracciarla, curarla, preservarla”, ha detto Forte. Un legame con la terra, con il luogo in cui nasce, che è anche il centro della degustazione “geo-sensoriale”, spiegata da Jacky Rigaux, wine writer, critico, già professore all’Università di Bordeaux, e profondo conoscitore della Borgogna. 
“È importante tornare ad affermare che i grandi vini sono solo quelli che esprimono i territori vocati da cui nascono, come è stato per secoli, dai Greci agli Etruschi, dai Romani al Medio Evo e fino alla fine del Settecento, quando le tante popolazioni che hanno avuto a che fare con il vino hanno selezionato i luoghi migliore per piantare la vigna, selezionato negli anni le varietà che davano i risultati migliori per quei tempi. È stato così anche in Francia, fino alla Rivoluzione Francese - ha raccontato Rigaux - quando in nome di una nuova uguaglianza tra tutti, si sono spiantati molti vigneti da cui nascevano vini per la nobiltà, e si è iniziato a produrre vini diversi, forse più omologati, perchè tutti dovevano poter bere lo stesso vino. Poi la borghesia ha nuovamente cambiato rotta, è tornata un po’ al tema della vocazione, al vino di alta qualità e distintivo dei territori, in un percorso che poi ha visto la pietra miliare della classificazione del 1855 sotto Napoleone. Poi si è arrivati al passaggio tra il 1900 ed il 2000, dove la critica ha un po’ omologato i gusti, e la definizione stessa di grande vino è un po’ cambiata, si è guardato più ai punteggi, che magari hanno premiato vini costruiti secondo certi dettami di gusto più che assecondando la vocazione dei territori. Oggi dobbiamo tornare a quel concetto, che è proprio della degustazione “geo-sensoriale”, che era quella dei “gourmet”, la corporazione dei “buongustai” cancellata, come tutte le altre dalla Rivoluzione Francese, basata più sulla bocca che sull’olfatto, come è la classica degustazione sensoriale, attraverso la quale questi esperti, letteralmente masticando il vino, “toccandolo” con la bocca che contiene il 20% delle terminazioni tattili dei una persona, sapevano riconoscere, a seconda delle sensazioni e della salivazione che in vini stimolavano, da che tipo di terreni, e quindi da quali luoghi questi vini nascevano. È un legame, quello tra grande vino e luogo, fondamentale: i grandi vini sono “vin de climat”, come diciamo in Borgogna, e il riconoscimento Unesco arrivato nel 2015 per i “Climat de Bourgogne” non è importante per dire che quel territorio è meglio di altri, ma perchè, come ha detto il grande Aubert de Villaine (per anni alla guida del mito di Borgogna, Domaine de La Romanee Conti, ndr), li ha riconosciuti come archetipo della viticoltura di qualità, con un modello che vale per altri territori vocati del mondo, ispirando i produttori a valorizzare questi luoghi con vini che li raccontano, che emozionano e che sono protagonisti della convivialità”.
Una riflessione non scontata, in uno scenario del mercato e della produzione di vino che sta cambiando vorticosamente, dove cambiano i consumi e i consumatori, l’approccio al vino, ma anche la visione produttiva legata ad un cambiamento climatico in atto, tanto che in vigna non si lavora più per mitigarne gli effetti, ma per adattarsi, come testimoniato più volte. Un pensiero legato al senso di esistere dei grandi vini, oggi, che nascono dalla “capacità di gestire le mille variabili con cui ci confrontiamo ogni giorno noi produttori, che sono il clima, l’annata, il suolo, la scelta delle uve, il momento in cui vendemmiare, cosa e dove piantare, quali lieviti usare, quali bicchieri, quali tappi, tutte cose su cui dobbiamo ogni giorno fare delle scelte, sperando di farle giuste”, ha detto Roberto Conterno, alla guida della Giacomo Conterno dove nascono molti dei più importanti vini italiani, tra cui mitico Barolo Monfortino.
Grandi vini che, hanno spiegato a WineNews Claude e Lydia Bourguignon, tra i più grandi consulenti agronomi del mondo e produttori in Borgogna con Domaine Laroque d’Antan, sono come un concerto: “il suolo è come lo spartito, il vitigno ed il materiale generale sono lo strumento, e poi c’è l’uomo che suona e interpreta la musica, così come il produttore di vino interpreta a suo modo il suolo e la vigna. Senza uno di questi tre elementi, non esiste il grande vino”.

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