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Calorie e ingredienti nelle etichette di vino e alcolici obbligatorie in Ue: per Federvini è una prova di maturità del settore, dice il dg Ottavio Cagiano. Critiche Coldiretti e Cia-Confederazione Italiana Agricoltura: “altri costi in burocrazia”

Divide il mondo del vino la notizia che la Commissione Ue ha imposto al mondo della produzione di vino e alcolici di trovare un sistema di autoregolamentazione entro un anno, per inserire in etichetta le informazioni su calorie ed ingrediente per tutte le bevande alcoliche. Secondo Federvini, il “rapporto sull’etichettatura obbligatoria per le bevande alcoliche presentato dalla Commissione Europea è una prova di maturità per il settore nei 28 Paesi membri, ed ha, tra luci e ombre, tanti elementi positivi per l’Italia”, commenta il dg Ottavio Cagiano de Azevedo, dg Federvini, che guarda “con ottimismo agli obiettivi del Rapporto prodotto, come precisato a Bruxelles, non per aspetti salutistici ma sotto una spinta di richiesta informativa da parte dei consumatori emersa solo a partire dal 2014”.
La Ue, spiega Cagiano, ha registrato questo fermento da parte di consumatori e delle associazioni ma, al contempo, ha registrato anche l’’impegno dei produttori a promuovere, sui social e sul web e quindi sui canali più seguiti dai giovani, il consumo consapevole.

“Questo anno in più non è né un ultimatum né un rinvio - sottolinea il dg Federvini - ma c’è anzi l’atteggiamento costruttivo di un invito al confronto per evitare al necessità di normare nei dettagli applicativi. L’idea è quella di moltiplicare gli sforzi per informare sui processi di prodotti che sono di filiera e che sono già iper-regolamentati e controllati in ambito Ue. L’etichetta trasparente è tale se informa su cosa fanno i produttori ma anche i fornitori a monte di materie prime proprio perché grappa, vermouth e limoncelli sono prodotti di filiera. L’informatore fa un acquisto consapevole se ne conosce qualità, prezzo, tracciabilità, tradizione di una produzione alcolica o vinicola, e limitare la comunicazione in etichetta a dieci righe di ingredienti può generare mostri e disinformazione. O siamo tutti i medici o rischiamo di inseguire nozioni chimiche decontestualizzate e fake news. Il settore produttivo italiano non ha paura di mettere in etichetta informazioni - ha concluso - anzi siamo il Paese che già negli anni Trenta ha scelto di indicare il grado alcolico mentre gli altri lo hanno fatto solo negli anni Novanta, ma vuole dimostrare l’atteggiamento responsabili dei produttori che agiscono a norma di legge. Indicare additivi presenti entro la soglia sarebbe ridondante, meglio informare sulle corrette modalità di consumo degli alcolici”.
Più tranchant le organizzazioni agricole: “non deve tradursi in un inutile aggravio di oneri burocratici per le aziende vitivinicole a partire da quelle medio-piccole, che contribuiscono in misura importante al nuovo record delle esportazioni di 5,6 miliardi nel 2016”, afferma la Coldiretti, che ricorda come l’obiettivo comune di produttori e consumatori debba essere “quello di fornire informazioni corrette senza però che questo vada a caricare le imprese agricole di adempimenti burocratici difficili da sostenere, considerata la grande varietà delle produzioni made in Italy. La stessa voglia di trasparenza - denuncia Coldiretti - dovrebbe però essere garantita anche su altri aspetti del settore vitivinicolo che oggi danneggiano i produttori italiani e i consumatori di tutto il mondo, dalla possibilità consentita dall’Unione Europea ai paesi del Nord Europa di aumentare la gradazione del vino attraverso l’’aggiunta di zucchero, pratica vietata in Italia, a quella di permettere la vendita di pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua”.

Negativo anche il giudizio della Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, secondo cui “i nostri produttori di vino non hanno certo bisogno di ulteriori aggravi burocratici e di costi aggiuntivi che, alla fine, andrebbero a gravare anche sui consumatori finali. Tanto più che i dettagli sul modo in cui verrebbero realizzate le nuove etichette sono confusi e difficilmente applicabili alla realtà vitivinicola europea, fatta di migliaia di aziende diversificate e non di poche imprese agro-industriali. Ai “burocrati” di Bruxelles - dicono gli agricoltori della Cia - sfugge evidentemente che il vino è il prodotto che origina dalla fermentazione naturale dell’uva e non da un processo industriale su larga scala non è pensabile realizzare specifiche etichette per ognuna delle tipologie di vino prodotte: solo in Italia si tratterebbe di mettere mano a oltre 500 denominazioni riconosciute. In questo modo, non solo l’informazione rischia di trasformarsi in confusione - sottolinea la Cia - ma si genererebbero oneri aggiuntivi e complicazioni eccessive, che sono insostenibili per le piccole e medie imprese vitivinicole”.

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