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La Stampa

Si chiamano “fun wines” e “cleanskins” gli assi nella manica di Australia e Usa ... Sono “cleanskins”, “lifestyle brands” e “fun wines” i nomi delle nuove armi della concorrenza australiana e Usa sul mercato del vino. I “cleanskins” sono l’ultimo fenomeno di moda in Australia: vini in offerta speciale, commercializzati a prezzi bassi senza alcun’altra informazione in etichetta se non la denominazione di vitigno, l’annata di produzione e il grado alcolico. Il principio commerciale non è di oggi, ma il recente boom di questi prodotti è determinato dalla superproduzione degli anni precedenti al 2003.

I cleanskins sono infatti dei vini di buona qualità, in surplus, che i produttori vogliono commercializzare senza nuocere all’immagine aziendale. Un buon affare per consumatori a cui non importa di comprare vini privi delle indicazioni di provenienza. In certi casi queste bottiglie si possono trovare a prezzi minimi (attorno agli 1,7 euro l’una), ma sugli scaffali il range medio delle quotazioni in questa fascia di offerta si attesta sui 5,5 euro al pezzo.

“Lifestyle brands” e “fun wines”, in gran voga negli Stati Uniti, sono invece vini a “denominazione di vitigno” venduti a prezzi moderati (massimo 10 dollari), facili e dall’immagine scanzonata. In questa linea si va a collocare anche l’ultima trovata di casa Gallo, il “Read Bicyclette”, ma, sempre in questa categoria si è rivelato vincente un marchio australiano, il “Yellow Tail”, lanciato nel 2001 con l’emblema di un canguro, che si è rivelato un enorme successo, con più di 5 milioni di casse vendute in un anno. Seguono a ruota altri australiani, capofila di un marketing irriverente, così distante dall’immagine italiana: McGuigan Simeon con “Crocodile Rock”, dal titolo di un famoso pezzo di Elton John, e la Jhonet Southcorp con “Little Penguin”, prodotti dedicati ad un pubblico di giovani dinamici, sedotti dall’immagine conviviale che evocano questi vini. Sempre nella logica di questo nuovo segmento si collocano dei marchi quali “Fat Bastard” o “Three Thieves”, il cui marketing punta fortemente sull’umorismo e la provocazione.
(arretrato de "La Stampa" del 15 agosto 2004)

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