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Italia Oggi

Il business del cibo-souvenir ... Il gradimento più alto tra svedesi e americani... Sondaggio on-line di coldiretti: per due italiani su tre batte arte e moda... Il turismo enogastronomico tira e di conseguenza anche il souvenir da gustare è una tendenza in rapido sviluppo favorita dal moltiplicarsi delle occasioni di valorizzazione dei prodotti locali che si i verificata nei principali luoghi di villeggiatura, con percorsi enogastronomici, città del gusto, feste e sagre di ogni tipo. Lo sottolinea la Coldiretti, evidenziando che il turismo enogastronomico vale 5 miliardi di euro e si conferma il vero motore della vacanza made in Italy, l’unica nel mondo a poter offrire 172 prodotti a denominazione di origine protetta (Dop/Igp), 469 vini a denominazione Doc/Docg/Igt che vengono valorizzati durante l’estate nelle città del vino (546 comuni), dell’olio (284), del biologico (60) e del pane (42) o lungo le 135 strade del vino e dei sapori che percorrono praticamente tutto lo Stivale. Secondo un sondaggio on-line sul sito della Coldiretti (www.coldiretti.it), il cibo e la buona cucina sono per quasi due italiani su tre (63%) il simbolo del made in Italy e battono la cultura e l’arte, fermi al 24%, la moda con 1’8%, la tecnologia (3%) e lo sport (2%). Le difficili condizioni economiche e la necessità di fare spese utili hanno favorito nei luoghi di vacanza l’acquisto come ricordo dei prodotti alimentari tipici da consumare al ritorno a casa con parenti e amici. Dalla mozzarella di bufala in Campania al formaggio Asiago in Veneto, dal pecorino della Sardegna al prosciutto San Daniele nelle montagne del Friuli, dal vino Barolo del Piemonte alla Fontina in Valle d’Aosta, dal limoncello campano al caciocavallo del Molise, sottolinea la Coldiretti, sono alcuni dei souvenir più richiesti dai turisti per portare un ricordo “appetitoso” dei luoghi di vacanza.
A questi si aggiungono ben 4396 prodotti tradizionali regionali, un patrimonio che dall’estate 2008 è stato dichiarato per decreto come espressione del patrimonio culturale italiano: dai fagioli zolfini toscani al formaggio puzzone di Moena in Trentino-Alto Adige, dai lampascioni sott’olio pugliesi al pane carasau della Sardegna, dalla grappa veneta alla porchetta di Ariccia nel Lazio. E se i 18 mila agriturismi presenti lungo tutta la penisola sono i luoghi ideali dove riscoprire i sapori delle tradizioni, in Italia sono “aperti al pubblico” ben 57.530 frantoi, cantine, malghe e cascine dove è possibile comperare direttamente, secondo il rapporto dell’Osservatorio sulla vendita diretta delle aziende agricole promosso da Coldiretti.
Ma il prodotto tipico locale piace anche agli stranieri, come dimostra una ricerca dell’Istituto Piepoli-Leonardo/Ice nella quale si evidenzia che a mantenere vivo il ricordo dell’Italia per quasi uno straniero su due (45%) sono proprio il cibo e il vino made in Italy. A essere particolarmente attratti dalle specialità alimentari italiane sono nell’ordine i cittadini svedesi (70%) e americani (58%), mentre il gradimento è più basso per quelli cinesi (3 1%) e per i russi (28%) che preferiscono i prodotti della moda. D’altra parte, continua la Coldiretti, la visita in Italia garantisce la possibilità di fare acquisti convenienti di prodotti di grande fama all’estero dove spesso sono commercializzati a prezzi molto più elevati, con il rischio inoltre di imbattersi in falsi e imitazioni di minore qualità. Infatti nelle vendite all’estero all’aumento dei costi determinati dal trasporto si aggiungono spesso per i prodotti tipici limitazioni quantitative e sanitarie all’export e dazi doganali che determinano la moltiplicazione dei prezzi. Per esempio, riferisce la Coldiretti, in Canada i prodotti esportati oltre i contingenti stabiliti sono gravati di dazi che, per il formaggio Asiago, arrivano al 250%, in Giappone sono del 30% per i vini e del 35% per i formaggi, in Argentina c’è uno specifico dazio di un dollaro Usa per ogni litro di olio di oliva, in Brasile viene applicato un dazio del 40% sui vini liquorosi made in Italy che in Egitto aumenta fino al 3 mila per cento e interessa tutti i vini, secondo una recente indagine del ministero degli affari esteri. Non mancano peraltro, continua la Coldiretti, i paesi dove alcune specialità alimentari nazionali non sono presenti per vincoli di natura sanitaria, motivi religiosi o difficoltà di natura burocratica amministrativa come la Cina, dove solo recentemente si sta aprendo la possibilità di esportare prosciutti dall’Italia con il rischio elevato di trovare sul mercato prodotti di imitazione. Una possibilità che riguarda molti altri paesi, come dimostra il fatto che sul mercato globale si stima che sia falso un piatto italiano su tre e il fatturato dei prodotti made in Italy taroccati raggiunga gli oltre 50 miliardi di euro.

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