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Libero

Tachis: “Il mio Sassicaia” ... Il maestro degli enologi italiani si confessa. Il padre del vino-miracolo toscano: “Dopo il mio addio tanti pettegolezzi e qualche veleno. Ma il tempo sarà galantuomo”... Lo trovo quasi in lacrime, sprofondato, anzi meglio raccolto come a cercare una protezione, nella sua vecchia Frau nell’angoletto dello studio che trabocca di cultura, di libri, di Mozart e Bach, tra mille diplomi, premi, attestati. È lì davanti alle fu cantine Antinori, dove ha faticato una vita, che Giacomo- Tachis vive un dolore profondo, lì dove ha dipanato gioie e successi costruiti con un impegno “matto e disperatissimo” per dirla con il mio amato Leopardi. Ha tra le mani un fax. Ho l’im - pressione che vorrebbe farlo a coriandoli. Capisco quanto male facciamo noi gazzettieri quando per cinismo, becero, mettiamo da parte il rispetto delle umane biografie. Sono passati quattro mesi da quando Libero Gusto anticipò che quest’uomo di scienza pari alla sua umanità, aveva deciso l’addio al suo mondo: al vino. Poche righe dopo, sui quotidiani, nessuna iniziativa del mondo del vino. Dirò - per facilitare la comprensione - che l’uscita di scena di Tachis sta al vino come il posar della bacchetta di Toscanini sta alla musica, come l’ultima pagina di Quasimodo, l’ultimo esperimento di Fermi. O - per secondare la volgarotta contemporaneità - l’ultimo calcio di Maradona. Che cosa resta del giorno? Un fax con un articolo ripubblicato dopo nove anni per dire: “Non è Tachis che ha fatto grande il Sassicaia, ma il Sassicaia che ha fatto grande Tachis che lo ha abilmente sfruttato”. Quale sia la manina che ha tirato fuori dai cassetti questa evidente falsità non è dato sapere. Ma è lecito chiederselo e forse sarebbe il caso che il mondo del vino riparasse a questo schiaffo all’uomo di cultura, allo scienziato che ha rifatto grandi le nostre bottiglie.

“Meno male che sei venuto”, sussurra, “ho un magone qui... Scusa se non mi alzo, ma faccio tanta fatica “. Dì, azzardo, Giacomo ti vuoi togliere qualche sassolino? “No: ho troppo rispetto per chi ha lavorato con me e per il mio lavoro. Ma tutto questo mi fa male: dopo il mio addio ho sentito tanti pettegolezzi, ho avvertito veleni. Che miserie!”. Quasi urla in un improvviso orgoglio piemontese. Ha posato sul tavolino una tabacchiera (lui fumava, ma millant’anni fa) in argento, graziosa, vittoriana, il beau geste di Nicolò Incisa della Rocchetta, il proprietario del Sassicaia, dopo 41 anni di fatiche di Tachis. Verrebbe da dire: un argent de poche!

Un’occhiata fulminante di Giacomo spiega più di milioni di parole. “Sai cosa mi offende?”, nota sibilando, “che hanno detto in giro che io ho indicato come mio successore Graziana Grassini, che a lei avevo affidato da tempo di seguire il Sassicaia, che continuerò comunque a occuparmene. Non capisco: ho detto solo basta. Ho rispetto e stima per la dottoressa Grassini, ma in quaranta anni in cui ho seguito il Sassicaia mai un giorno ho delegato ad altri. Quanto alle indicazioni: ti pare possibile che io possa interferire nelle scelte di un’azienda così importante? Sono sempre stato leale e rispettoso dei ruoli. Ho studiato troppo, ho letto troppo e poco mi sono curato del milieu. E mi ripagano così”. E questa storia del Sassicaia che hai sfruttato? “Lasciamo perdere, però una cosa voglio dirla. Quando gli Antinori mi mandarono ad occuparmene il vino era indefinito, le barriques perdevano, le annate erano confuse. Sai come l’ho fatto il primo Sassicaia? Prendendo un po’ qua un po’ là dai caratelli. C’era di tutto: Sangiovese, Cabernet, tanto Merlot. L’ho arrangiato. È andata bene. E quando Mario Incisa decise di fare di testa sua beh, i risultati non furono eccelsi. Io peraltro non ho mai detto di aver inventato il Sassicaia, ma di averlo reso potabile questo sì. È un grande vino, è stato il vino della nostra rinascita d’immagine, lo amo ancora nonostante l’addio senza rimpianti. E spero che Incisa della Rocchetta sappia continuare a farlo bene. Se poi si vuole buttare in un pozzo a questo punto è affar suo””.

In che senso? “Lo sai, lo sai”. Tachis non lo dice ma è un fatto che il Sassicaia è passato da 120mila bottiglie a quasi il triplo, Tachis mi sussurra: “E quando ci ho messo il Merlot per arrotondarlo? A Bolgheri il Merlot viene benissimo. Ma non solo a Bolgheri. E quando mi è stato consigliato di non andare in vigna per controllare le rese? Sai un conto è piantare l’uva, altro conto è farla diventare un vino internazionale. E quando ho fatto le “Difese” per ottimizzare gli scarti del Sassicaia e impedire che ci fossero troppe bottiglie sul mercato? E quando ho creato il Guidalberto ottimizzando tutta la produzione di Incisa? Certo non ho inventato il Sassicaia, ma l’ho curato, difeso, amato”. Scusa Giacomo, ma qui si dice che fu il marchese Carlo Guerrieri Gonzaga a creare il Sassicaia a suggerire a Incisa l’uso delle barriques. Sibila: “Ricordo solo che per fare il San Leonardo (è un grandissimo vino trentino, ndr.) il marchese Guerrieri Gonzaga, del quale ho affetto e stima, mi ha chiamato dicendomi: Tachis queste sono le vigne, ne faccia un‘eccellenza”.

È stanco: vorrebbe dire molto di più e molto di più si potrebbe svelare. “Ma non voglio voltare le spalle a chi mi ha dato opportunità e soddisfazioni, non voglio tradire la mia vita, la mia professione. Io il vino l’ho fatto in scienza e coscienza”. Ancora un fremito, ancora una lacrima accennata. Gli dico non ragioniam di lor, ma guarda e passa. Mi risponde a tono: “Ma il modo ancor m’offende”. Potremmo andare avanti ore tra Dante e Spinoza, tra Platone e Pasteur e spunta un sorriso. Gli suggerisco: datti tempo, lascia scorrere. Guarda lontano, verso la campagna. Riflette quasi a compitare la sua vita, la sua fatica, i giorni presenti che sanno d’amaro poi emette una sentenza: “Sì, il tempo: è l’ultimo galantuomo”. <

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