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Italia Oggi

Parker scommette sui vini dell’eurozona ... Se i Btp continuano a soffrire nei confronti degli analoghi titoli di stato tedeschi e se la disoccupazione in Spagna rimane intorno al 20%, nel comparto del vino c’è chi vede un futuro roseo, verrebbe da dire rosè, per i vini delle economie in difficoltà dell’eurozona. The Advocate, al secolo Robert Parker, forse il più autorevole valutatore di vini al mondo nei suoi megatrends dell’industria enologica mondiale, crede nell’affermazione non più soltanto nazionale dei vitigni di queste regioni. Secondo lo statunitense, nei prossimi anni nel mondo crescerà il consumo di bottiglie prodotte nelle regioni del Mezzogiorno italiano: Sardegna, Sicilia e Basilicata registreranno la migliore performance di terroir rispetto a tutte le altre regioni vinicole del Sud Italia. In realtà Parker ha semplicemente ripetuto una previsione che ormai fa già da diversi anni. Secondo lui, nel mercato globale aumenterà di importanza il consumo di vini prodotti nelle terre nelle quali lo stesso vino ha avuto origine. Il Mediterraneo e i suoi territori speciali. Un’area dove il vino si coltiva da diversi secoli prima della nascita di Cristo. A vederla così la previsione sembrerebbe un paradosso positivo della globalizzazione. Non più il primato massificante dei Merlot e dei Cabernet, ma il successo emergente dei Cannonau, del Vermentino e del Nero d’Avola. Una globalizzazione che premia gusti e tannini dei territori storici dell'enologia. Parker, del resto, da anni prevede la crisi del vino francese. Un’enologia “inventata” a tavolino dalla straordinaria capacità organizzativa dello Stato transalpino che stenta a conservare il primato nel mondo vinicolo contemporaneo. La Francia diventerà un produttore non più di massa e per la massa dei consumatori, perderà quote di mercato mondiale a vantaggio dei produttori del nuovo mondo, degli spagnoli e degli italiani del Sud. Una tendenza ragionevole nella sua potenzialità di svolgimento. L’occasione per i vini e le cantine del nostro Mezzogiorno è davvero ghiotta. Non può essere sprecata. Ma per coglierla serve un salto quantico nella cultura imprenditoriale e manageriale. La Spagna, analizzata da questa prospettiva, è molto più avanti. Dispone di aziende vinicole di dimensioni maggiori, alcune addirittura quotate in borsa quindi con capitali ampi per investire in marketing. Ha fatto investimenti mirati, anche con soldi comunitari, in tecnologia ed in logistica ed oggi può aggredire il mercato mondiale del vino con sicura competitività. Le aziende vinicole del Mezzogiorno sono invece ancora ferme al Novecento. Dimensionalmente piccole, con una eccessiva frammentazione di marchi e brand e spesso sottocapitalizzate, le imprese vinicole di Basilicata, Sardegna e Sicilia potrebbero essere molto meglio strutturate per inserirsi ottimamente nello scenario in cambiamento dei consumi mondiali di vino. Dovrebbero consolidarsi come fatturato aggregato, investire in maniera mirata per far conoscere e promuovere i propri vitigni, fare un marketing di brand molto profilato puntando a specifici mercati. Dovrebbero, detto più semplicemente, essere in grado di elaborare una strategia territoriale di settore. Gli spagnoli negli anni passati sono stati capaci di farlo, mentre i mille campanili italiani sembrano essere un freno anche nel caso delle opportunità enologiche. Invece di avere il mappamondo davanti e di pensare in grande per imporsi nel globo, i produttori vinicoli del Sud italiano rischiano di restare provinciali arroccati sulla loro dimensione aziendale di un tempo che nell’oggi della globalizzazione non significa praticamente più nulla. Qualche imprenditore eccellente è emerso negli ultimi anni, ma per poter cogliere al meglio la previsione di Parker serve o servirebbe ben altra spinta imprenditoriale. Chissà se l’Italietta alla spasmodica ricerca di nuova occupazione e di nuova crescita economica nel conteso globale valorizzando i suoi asset migliori saprà sfruttare quanto la globalizzazione enologica le sta offrendo su un piatto di argento?

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