Il progetto denominato Vigna (VItis GeNome Analysis) che coinvolge numerosi Paesi (tra cui Francia, Giappone, Australia) e che in Italia è condotto a più mani dalle Università di Milano, Udine, Verona, Padova e dell’Insubria, nonché dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, è realtà da oggi, dove a MiWine (Milano, 12/14 giugno) si è tenuto il convegno scientifico “Ricerche innovative per definire e migliorare la qualità delle produzioni viti-vinicole italiane”.
Il progetto, partito nell’ottobre del 2005, avrà una durata iniziale di tre anni ed è finanziato in gran parte dal Ministero delle Politiche Agricole (6,5 milioni di euro), più 2,5 milioni di euro dalle regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto con il contributo di alcuni istituti bancari. Aprendo il convegno, il professor Attilio Scienza non ha usato mezzi termini sostenendo che “viviamo una delle grandi tappe della ricerca nel settore vitivinicolo. Si può paragonare questo progetto all’opera K387 di Mozart, un quartetto d’archi dedicato ad Haydn che ha introdotto le dissonanze per la prima volta nella storia della musica e che ha rivoluzionato il modo stesso di comporre ponendo le basi da cui sarebbero nate la dodecafonia e la musica moderna. Questa ricerca può avere lo stesso impatto rivoluzionario: dopo, la viticoltura non sarà più la stessa”.
Ma di cosa si tratta nello specifico? Senza entrare in dettagli troppo tecnici, il progetto si pone l’obiettivo di tracciare il genoma della vite. come afferma il professor Michele Morgante dell’Università di Milano, “la comprensione del patrimonio genetico della vite permetterà di individuare i geni che influiscono sulla qualità e sulla sanità della pianta e delle uve da essa prodotte. Il lavoro è immenso, perché si parte da un DNA che include 500 milioni di basi. C’è voluto del tempo per ottenere i finanziamenti necessari, ma ora siamo pronti per affrontare questa sfida. L’obiettivo non è solo quello di creare una banca dati pubblica ma anche quello di formare 40-50 scienziati con competenza specifica sulla materia che possano portare avanti il lavoro iniziato da noi”.
“La ricerca in questo campo è difficile”, chiosa Scienza, “ma il problema vero è di tipo culturale. Il mondo vitivinicolo è impregnato di tradizionalismo, e ogni innovazione è vista come sovversiva. Per esempio, nel dopo-fillossera, c’era chi sosteneva che non si sarebbero dovuti fare innesti su piede franco perché la fillossera se ne sarebbe sparita per conto suo. Per fortuna ha vinto chi, al contrario, sosteneva la necessità di rinnovare i portainnesti, ma ci vollero molti anni per convincere tutti. Ora si assiste ad un atteggiamento simile da parte di molti viticoltori. In parte è colpa anche della stampa, che non si rende conto dell’importanza di queste ricerche: per esempio, ci poniamo anche l’obiettivo di effettuare un censimento sistematico delle varietà per abolire sinonimi e omonimi e creare un database unico a livello mondiale.
Difficoltà ulteriori rispetto ad altre coltivazioni di piante da frutto sono la ricchezza genetica della vite e le variabili ambientali; la ricerca sulle viti piantate in Alto Adige non è applicabile alle viti piantate in Sicilia, quindi il lavoro va collocato in ambito regionale senza ovviamente prescindere da un coordinamento nazionale. Non è un caso che presentiamo oggi a MiWine lo stato del progetto, perché è indispensabile un legame più stretto tra chi fornisce ricerca e chi è destinato ad usufruirne”.
A questo proposito, Mario Pezzotti dell’Università di Verona ha sottolineato come sia importante sfruttare patrimoni di conoscenza già acquisiti a livello locale: “a Verona studiamo in particolare gli effetti derivati dall’appassimento delle uve, data l’esperienza acquisita nella produzione dell’Amarone che, come si sa, è ottenuto proprio dalla vinificazione di uve appassite sui graticci. Ci sono industriali del mondo vinicolo, inoltre, che credono in questo progetto: in modo particolare Giorgio Pascoli delle Cantine Pasqua e il presidente dell’Unione Italiana Vini (Uiv) Andrea Sartori della casa vinicola Sartori”.
Ma alla fine, a cosa servirà tutto questo? La risposta di Scienza è disarmante nella sua semplicità: “servirà ad avere uva più sana, ambiente più sano, vini migliori”.
Francesco Beghi
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