Dopo l'accordo bilaterale tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti per gli scambi vitivinicoli, la Commissione Europea si appresta a concludere accordi del tutto simili a quelli chiusi con l'Australia ed il Cile. Lo afferma "con preoccupazione" la Cia-Confederazione italiana agricoltori che sottolinea come in questi trattati, che rappresentano una specie di scorciatoia per le difficoltà agli accordi mondiali sul commercio, l'Europa, tradizionale culla della produzione vitivinicola riconosce e quindi apre le porte del suo mercato ai vini di quei Paesi, anche se le regole di produzione sono molto diverse e più permissive delle nostre. Si tratta di una concorrenza accettata - puntualizza la Cia - in cui da una parte il vino è la tradizionale fermentazione dell'uva della specie vitis vinifera appositamente coltivata e dall'altra è invece un prodotto tecnologicamente preparato, anche se ben fatto.
"In cambio però ci si aspetta la protezione delle nostre denominazioni di origine - continua la Cia - in quegli Stati, cosiddetti nuovi produttori, che le hanno fino ad ora usurpate, producendo dal Chianti al Bordeaux, dal Marsala al Porto e via dicendo".
Il nodo di fondo "non è quello di restare ancorati a una tecnica di produzione, spesso superata dalla innovazione in vigneto, in cantina e nel marketing, quanto piuttosto riconoscere a ciascuno il valore delle rispettive qualità; l'Unione europea, però è pronta nel cedere, ma debole nel chiedere".
In tal senso l'organizzazione rimarca la questione dei trucioli utilizzati per dare sapore di legno ai vini senza investire nelle costose botti e barriques di quercia, ribadendo la propria contrarietà a questo tipo di surrogato all'invecchiamento "che, laddove ammesso, tanto per i vini europei che per quelli extra-comunitari, dovrà necessariamente trovare chiara comunicazione in etichetta, in modo che l'operazione non si traduca in una sopravvenienza gratuita per chi la utilizzerà".
Ma c'é anche la questione del vitigno Tocai che l'Italia non potrà menzionare in etichetta già dal 2007, mentre invece all'Australia è stato concesso di utilizzarlo ancora per 10 anni. "Paradossi - conclude la Cia - che penalizzano i nostri produttori e nello stesso tempo beffano i consumatori non in grado di fare un acquisto consapevole, spesso trovandosi a pagare di più un prodotto di minor valore".
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