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VIGNE E CASTELLI IN CINA PER LANCIARE IL NUOVO BUSINESS DEL VINO: AL VIA UN INVESTIMENTO DA 200 MILIONI DI EURO CON CONSULENZE ITALIANE

La "fantasia" cinese non ha confini. Nelle campagne a una trentina di chilometri da Pechino sta sorgendo un monumentale castello alla francese con due ristoranti, una scuola di formazione e, naturalmente, vigne annesse. L'idea è semplice: far conoscere l'Europa anche a chi non ha mai messo piede fuori dal Celeste Impero. A raccontare l'ennesimo modo di fare business dei cinesi è Donatella Cinelli Colombini, considerata un po' la creatrice del turismo del vino, ma soprattutto produttrice e profonda conoscitrice del mondo dell'enologia.

La "signora del Brunello" (che, in Cina, esporta da meno di un anno una piccola quantità dei suoi vini) è stata chiamata come consulente per il progetto, che almeno nelle cifre (ma anche negli intenti), si mostra faraonico: in tutto 200 milioni di euro di investimenti. Numeri da capogiro che la più grande cantina del posto, la Changyu (130 milioni di bottiglie all'anno tutte assorbite dal mercato interno, ettari ed ettari di vigneti e tre proprietari tra cui l'italiana Ilva di Saronno) è disposta a spendere pur di insegnare ai cinesi la cultura del buon bere.

Un'impresa non del tutto semplice "in un Paese - spiega Cinelli Colombini - dove bisogna cominciare dall'abc".

Perché, sarà pur vero che in Cina sono maestri nelle imitazioni griffate, ma non è cosa di tutti i giorni capire tout court un modo di essere che non ti appartiene. Del resto, però, i conti sono presto fatti. In un Paese con una popolazione di 1,3 miliardi di persone e un Pil che cresce a una velocità impressionante, gli affari non si possono far scappare.

Resta però un dubbio: chi saranno i futuri clienti? Una risposta sicura la darà il futuro. Per ora del castello c'é solo lo scheletro e tutto intorno è un cantiere. Quanto agli eventuali turisti del vino made in China sono solo, per ora, sulla carta, come del resto il progetto nel suo complesso.

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