Scendono acacia (-20%), il più amato dagli italiani; sale uno dei “nettari” più pregiati, quello di agrumi, da sempre identificato con la produzione dell’Italia del Sud; flessione del castagno (-40%), uno dei mieli portabandiera del Bel Paese, e calano i millefiori “estivi” (-50%); “out” anche il miele di eucalipto e di melata (miele di bosco), con produzioni scarse o nulle a seconda dei territori; “in” il tiglio e i millefiori “primaverili” o “tardivi” in alta montagna: il “borsino” della produzione 2007 dei mieli italiani segna, stando alle prime stime, un momento poco favorevole per l’Italia del miele, che, comunque, rimane la regina della qualità e della varietà (dal nespolo al corbezzolo, dall’erica al girasole, dal rododendro alla lupinella, dalla lavanda alla marruca, dal cardo all’erba medica). “La produzione dei mieli - spiega Francesco Panella, presidente dell’Unione Nazionale degli Apicoltori Italiani - è, quindi, messa a rischio dai cambiamenti climatici, siccità e fioritura anticipata”. Tutto questo sarà analizzato agli “Stati Generali” dell’apicoltura italiana (settore in cui operano ben 50.000 apicoltori, con 1,1 milioni di alveari, per un business di 60 milioni di euro), dal 7 al 9 settembre 2007, a Montalcino, una delle capitali italiane dell’agricoltura d’autore.
La produzione media annuale di miele in Italia oscilla tra i 100/110.000 quintali. Sulle tavole degli italiani si “gustano” ogni anno 400 grammi di miele a testa, ma negli ultimi anni il settore è afflitto da costante stagnazione dei consumi. Il nostro Paese, che è il leader della qualità e della varietà, è, paradossalmente, infatti, la “maglia nera” dei consumi di miele in Europa. Ma, nonostante questo contraddittorio primato, “la scarsa produzione 2007 ha consentito di proporre sul mercato - spiega Hubert Ciacci, a capo degli apicoltori toscani di Siena, Grosseto, Arezzo (Asga), che organizza a Montalcino la Settimana del Miele, il più importante evento italiano del settore - “il miele di ottima qualità (su tutti, l’acacia) del 2006 che non era stato ancora venduto”.
“La scarsa propensione ai consumi sul mercato nazionale - commenta Francesco Panella, presidente dell’Unione Nazionale degli Apicoltori Italiani - è rivelata anche da un altro aspetto: se a livello internazionale, infatti, si registra un trend di crescita dei prezzi, stimabile sul 20%, nel mercato italiano, nonostante il calo di produzione, il miele non è toccato da nessun rincaro”.
Anche se si parla di stime e di previsioni (e, quindi, non di dati definitivi), questo lo “stato dell’arte” dell’apicoltura italiana: situazione critica per il miele di eucalipto (si passa dal raccolto scarso della Calabria ionica a quelli mediocri in quantità, ma ottimi in qualità, di Sicilia, Sardegna, Basilicata, Abruzzo e Litorale Pontino nel Lazio); partenza pessima anche per la produzione di miele di melata (o miele di bosco), soprattutto a causa della siccità, con minime variazioni tra le regioni maggiormente produttive, Toscana, Piemonte e Emilia Romagna; non destano troppa preoccupazione le notizie sul miele di acacia, il più amato e ricercato dai consumatori italiani: in tutta la penisola si registra un calo del 20%, con il nettare “misto” a nettari di altre piante a causa della concomitanza della fioritura anticipata di altre varietà di fiori; situazione un po’ più negativa per il miele di castagno, che fa segnare un -40% sulla quantità, e risente della fioritura precoce del tiglio; al contrario, proprio il tiglio, è di molto sopra la normale produzione e con una rara concentrazione di aromi in purezza, tanto da far segnare in tutto il nord Italia e, in particolare nelle vallate di Novara, considerevoli rese; note molto positive per il profumatissimo miele di agrumi: raccolto di qualità e buona quantità in Sicilia, Basilicata, Calabria e Puglia.
La situazione è, invece, contrastata per i “millefiori”: quelli “estivi”, provenienti per lo più dalle zone appenniniche, sono in calo del 50% in quantità; i “primaverili” sono in linea con i migliori anni passati; quelli “tardivi”, raccolti soprattutto in territori di alta montagna, risultano eccellenti e tre volte superiori alla norma per quantità (anche se si parla, comunque, di produzioni di nicchia).
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