Gli sviluppi dell’“affaire Brunello di Montalcino 2003”, circa la purezza del Sangiovese contenuto in bottiglia, hanno finito per portare alla ribalta della cronaca perfino la validità o meno di un’analisi strumentale. WineNews ha cercato di fare un po’ di chiarezza e vedere più da vicino la questione anche addentrandosi nei dettagli di ordine tecnico.
La Risoluzione 22/2003 dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv), fondata nel 1924 a Parigi, istituzione intergovernativa a carattere scientifico e tecnico costituita da 43 stati membri, che ha fra i suoi principali compiti la formulazione di raccomandazioni da applicare negli stati membri in materia di produzioni, pratiche enologiche e metodi d’analisi, l’assistenza ad altre organizzazioni internazionali, l’armonizzazione delle norme internazionali e l’elaborazione di nuove - dal titolo “Determinazione per Hplc dei nove antociani principali nei vini rossi e rosati” (che è possibile consultare sul sito: www.oiv.int/it/accueil/index.php) introduce questa analisi strumentale tra le metodologie riconosciute e applicate internazionalmente. Un’analisi, peraltro, nota e sviluppata fin dagli anni ‘80.
Ma vediamo come si effettua l’analisi in questione. Si tratta di una cromatografia liquida ad alta pressione o cromatografia liquida ad alta prestazione (High Pressure Liquid Cromatography o High Performance Liquid Cromatography), che permette di separare due o più composti presenti in un solvente sfruttando l’equilibrio di affinità tra una “fase stazionaria” posta all’interno della colonna cromatografica e una “fase mobile” che fluisce attraverso essa. Una sostanza più affine alla fase stazionaria rispetto alla fase mobile impiega un tempo maggiore a percorrere la colonna cromatografica (tempo di ritenzione), rispetto ad una sostanza con bassa affinità per la fase stazionaria ed alta per la fase mobile.
Il campione da analizzare è iniettato all'inizio della colonna cromatografica dove è “spinto” attraverso la fase stazionaria dalla fase mobile applicando pressioni dell'ordine delle centinaia di atmosfere. Alla fine della colonna è applicato un rilevatore (spettrometrico) ed un calcolatore che permettono una analisi in continuo dell'uscita della colonna e quindi di poter quantificare e/o identificare le sostanze iniettate. La visualizzazione grafica dell’analisi è rappresentata da picchi: ogni picco è caratterizzato dal tempo di uscita e dall’area. Nello specifico, ogni singolo antociano ha un tempo di ritenzione caratteristico, mentre l’area è proporzionale alla concentrazione nel campione. I calcoli sono effettuati da un software che elabora i risultati in percentuale e una semplice analisi dei grafici Hplc permette di risalire ai tipi ed alle quantità di antociani presenti in un vino.
Se da un punto di vista metodologico l’analisi del profilo antocianico, approvata dall’Oiv, non lascia alcun dubbio sulla sua efficacia funzionale (alta risoluzione nei risultati, buonissima ripetibilità, grande stabilità dei moderni sitemi Hplc …), la questione è completamente rovesciata invece sull’interpretazione dei dati che fornisce.
Gli antociani (dal greco anthos = fiore, kyàneos = blu), localizzati nelle bucce, contribuiscono in maniera preponderante al colore delle uve rosse. Nelle uve, e poi nel vino, queste sostanze sono presenti in tre forme principali: legate a molecole di zucchero (antocianine), prive di zucchero o “libere” (antocianidine) sottoforma di delfinidina, petunidina, malvidina, cianidina, peonidina e in forma acilata, cioè quando gli zuccheri delle antocianine reagiscono con acidi. Come è noto, le differenze nei profili varietali degli antociani sono tanto evidenti da consentire la suddivisione di tutte le varietà conosciute in classi di affinità, in base alla presenza/assenza di antociani acilati, il rapporto fra gli antociani liberi … . In casi particolari, come quello del Sangiovese, il profilo antocianico è talmente caratteristico (assenza quasi completa di anotociani acilati), che la sua individuazione è molto semplice.
Determinare analiticamente (con il metodo sopra descritto) la purezza di un campione di vino Sangiovese sembrerebbe, quindi, assolutamente agevole. E in parte lo è. Infatti, l’efficacia dei moderni Hplc è del 100% nel caso delle uve, del 99% nel caso di vini appena svinati, ma diventa sempre meno puntuale con l’aumento delle operazioni enologiche sui vini (travasi, affinamento in legno …).
Oltre a questo limite intrinseco determinato dalla natura degli antociani stessi (sostanze tendenzialmente instabili e destinate con il tempo a decadere o a cambiare il loro equilibrio di reazione o a complessifficarsi con altre molecole), il fatto fondamentale è che l’applicazione dell’analisi del profilo antocianico nei vini per il riscontro della origine varietale non è, molto semplicemente, supportata da un adeguata letteratura scientifica e da banche dati rigorose. Insomma, è possibile attualmente raggiungere soltanto delle evidenze empiriche, che però non possono essere dimostrate scientificamente. Le variabili sono molteplici e, almeno secondo le nostre ricerche, poco o per nulla sondate dalla ricerca. Insomma, al massimo si possono raccogliere indizi, ma, come dire, non è possibile fornire nessuna prova. A meno che, in futuro, non si metta mano alla costruzione ed alla validazione di banche-dati, ottenute da sperimentazioni e ricerche scientifiche poi validate, a loro volta, da adeguate pubblicazioni e dal "visto" delle istituzioni.
Franco Pallini
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