Un viaggio affascinante nella storia, tra miele rosato, idromele, panforti e panpepato, tra i rigori del mondo monastico e i medici che prescrivevano il prodotto delle api per curare tutti i mali, dalla cecità alla scarsa virilità: si intitola “Il miele nell’Occidente medievale” (per i tipi dell’Accademia dei Georgofili) il libro della storica Laura Prosperi, docente di Storia e cultura dell’alimentazione all’Università di Milano, che è stata premiata a Montalcino, nella “Settimana del Miele”, con il prestigioso riconoscimento dell’“Ape d’Oro”, assegnato ogni anno a personalità che si sono distinte per il loro ruolo nel mondo dell’apicoltura.
Laura Prosperi ha ricostruito un quadro d’insieme riunendo mille frammenti sparsi fra pagine di libri, testimonianze scritte e atti cercati fra gli scaffali di archivi e biblioteche con costanza, pazienza ed enorme impegno. Leggendo il trattato, scritto con linguaggio davvero scorrevole, si scopre che il miele è un alimento la cui origine non è stata immediatamente riconducibile ad un preciso processo di produzione: la sua genesi, non essendo né animale, né vegetale, era atipica, dunque per lungo tempo non si riusciva a capire come venisse prodotto. Questo mistero ha dato il via ad una sorta di “mitizzazione”, almeno fino agli inizi del ‘700. Gli antichi pensavano addirittura che fosse un prodotto di origine celeste: si credeva che cadesse dal cielo sulle corolle dei fiori, e da lì venisse raccolto dalle api. Veniva inoltre confuso con la manna biblica, e anche per questo venne celebrato da molte culture dell’antichità, compresa la chiesa paleo-cristiana: basti pensare che fino al VII secolo d.C. il miele faceva parte della liturgia della comunione, insieme al pane, al vino e al latte.
Nell’alto Medioevo, il miele divenne un prodotto di scambio, anche se la sua funzione non era solo quella odierna di dolcificante. Per addolcire i cibi c’erano infatti altre sostanze, come i concentrati di fichi o uva. Il miele veniva utilizzato principalmente come conservante e condimento, oltre che come ingrediente in cucina. Era uno dei capisaldi della pasticceria popolare, basti pensare a preparazioni giunte fino a noi come - per restare in Toscana - i ricciarelli, il panforte e il panpepato.
Il rapporto del miele con lo zucchero era esattamente l’opposto di quello di oggi: nel Medioevo esisteva solo lo zucchero di canna (quello di barbabietola nacque solo nell’800), un prodotto considerato più sano e genuino, ma riservato ad una ristretta élite, anche perché costava anche ventiquattro volte in più del miele. Oggi invece, al contrario, il miele viene preferito da consumatori più esigenti e dalla maggiore sensibilità ambientale.
Ma il miele nell’antichità ha rappresentato anche un importante rimedio nella farmacopea: oltre all’uso come anti-infiammatorio ed antibatterico, utile per curare le affezioni della gola e delle vie respiratorie - usanza giunta fino ai nostri giorni - il miele veniva utilizzato anche per curare mal di denti, mal di stomaco, problemi di fertilità, per non parlare del suo prezioso ruolo nella medicina veterinaria. Insomma, una vera panacea per tutti i mali.
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