“I have a dream: via i nomi delle varietà dalle etichette dei vini italiani, mettiamo solo i territori, perché i vitigni si possono spostare ovunque, i territori no”. Così Mario Fregoni, tra i più autorevoli nomi delle ricerca vitienologica, cita Martin Luther King, da Guardia Sanframondi (Benevento), nella convention delle Città del Vino, parla di vino e territorio da raccontare. Con una provocazione, ma basata su un dato di fatto: il Nuovo Mondo produttivo, dall’emisfero Sud con Sudafrica, Australia e Sudamerica, a quello Nord, con Stati Uniti e Asia, vede crescere la sua viticoltura, ma parla ancora di vitigni. Al contrario, Paesi storici come la Spagna e l’Italia, stanno perdendo superfici, e l’unica via per difendere la loro cultura enoica è quella di puntare tutto sui territori, che sono unici e non “replicabili” in altre aree del mondo, a differenza delle varietà. Qui siamo nel Sannio, e neanche lontani da Taurasi. La Falanghina posso prenderla e portarla a coltivare in Australia. Il Sannio, o Taurasi, no”. Spiega Fregoni: “partiamo dalla situazione internazionale della viticoltura. Da 10 milioni di ettari, in 30 anni, si è passati a 2,5 milioni di ettari. E la perdita è quasi tutta nel Mediterraneo. La Spagna, da sola, ne ha visti sparire 1,5 milioni, l’Italia. Italia 100 anni fa aveva 3,5 milioni di ettari di vigneto, oggi ne abbiamo 600.000. E nella competizione globale noi possiamo difenderci solo con i nomi geografici, parlando di territori già dall’etichetta. Dobbiamo fare parlare il nostro territorio in modo diverso rispetto agli altri. Si parla tanto di zonazione, e va bene. Ma perché dobbiamo farla? Per delimitare zone più vocate e meno vocate, ma l’obiettivo è un altro: arrivare ad indicare sulle etichette solo il nome del luogo di produzione, anche perché la varietà non è proteggibile nel mondo. Mettiamola magari in contro etichetta, ma non in etichetta. Dobbiamo caratterizzare la cultura del territorio. Anche creando dei corsi per formare ad hoc guide del territorio enogastronomico, che raccontino ai turisti il territorio attraverso il vino ed i suoi prodotti tipici, perché è il territorio che si deve raccontare, non il prodotto. Tornando al vino, io mi preoccupo del fatto che l’Unione Europea dia il via libera al poter scrivere in etichetta le varietà senza luogo d’origine, perché si va così sul rischio di avere vini tutti uguali. In Italia abbiamo 4.000 varietà, ma ne coltiviamo molto meno, e continuiamo a ridurle. Invece abbiamo la possibilità di valorizzare qualità, differenza, e anche resistenza ai cambiamenti climatici. E anche su questo bisogna ragionare: secondo tanti studiosi il 70-80% delle zone vinicole mediterranee starebbe andando verso la diversificazione. E anche per questo propongo di creare un centro di protezione e valorizzazione della viticoltura mediterranea, insieme alle con Città del Vino. Lo abbiamo già fatto per la viticoltura di montagna. Facciamolo, invitiamo tutti i Paesi vinicoli che si affacciano sul mediterraneo, sono 22. Ma dico anche che ha condurre questa impresa dovrebbero essere le regioni del Sud d’Italia, sono le più interessate”.
Focus - L’intervento di Francesco Iacono (Arcipelago Muratori): ma il territorio può ruotare solo intorno al mondo del vino?
Il territorio è il fulcro di tutto, per chi lavora nel vino. Ma può un territorio essere fatto “solo” dal vino e dai suoi protagonisti? La domanda se la pone Francesco Iacono, direttore di Arcipelago Muratori, gruppo che spazia dalla Franciacorta con Villa Crespia a Benevento con Oppida Aminea, passando per Suvereto con Rubbia al Colle, e Ischia con Giardini Arimei.
“La zonazione non la usa nessuno - provoca Iacono - le regole del mercato pesano di più. E neanche le amministrazioni locali, che pianificano il territorio a prescindere, ne tengono conto. Il vino e la viticoltura possono “fare territorio” solo insieme alle altre realtà sociali ed economiche, alle altre forze che ci insistono. Parlo di forze nel senso di cittadini e di individui. Non esiste territorio senza idea di paesaggio, perché il paesaggio è il concetto più comune per chiunque, è quotidianità, in cui ognuno è fruitore, spettatore ma anche responsabile del paesaggio. Paesaggio, secondo Turri, è “teatro”. Tutti noi ne siamo responsabili: non solo i vignaioli, non solo gli agricoltori, ma gli urbanisti, gli amministratori, i singoli cittadini che ogni giorno agiscono e scelgono il destino e la qualità del paesaggio, decidono di far convivere agricoltura e insediamenti civili, spesso, come se non facessero parte dello stesso sistema. Sennò parliamo di tanti pezzi di territorio che no faranno territorio nel senso che a noi serve. Si parte dal coinvolgimento e dalla partecipazione collettiva. Se non c’è intento comune non si va da nessuna parte: è inutile che faccio la vigna curata se a 100 metri si fanno capannoni o discariche. Il paesaggio non è un patrimonio da sfruttare, ma da proteggere e preservare. Oggi un progetto di valorizzazione territoriale deve essere coinvolgente, riguardare tutti i cittadini, senza barriere settoriali, non essere esclusivamente tecnico e troppo tecnicistico, ma anche ricco di valori sociali, etici, naturalistici e sostenibili. Cosa fare?
- Mappe dei suoli: esistono già e sono abbastanza dettagliate. Sarebbe importante definirle su aree omogenee con attenzione all'uso agronomico attuale
- Studio della flora spontanea: evidenza delle particolarità e sostegno alla loro conservazione e diffusione (con particolare riguardo alle aree limitrofe agli insediamenti umani, scarpate, macchie).
- Studio dei siti storici, archeologici (pievi, ruderi con valore paesaggistico e culturale) in funzione di una loro difesa, preservazione, eventuale restauro, possibile sviluppo di aree di interesse turistico con eventuali itinerari
- Interviste ai “saggi”, agli anziani, per ricostruire senso di appartenenza, storia della viticoltura e conoscenza di cosa era ritenuto ottimale (varietà, disponibilità idrica, difficoltà agronomiche, maturazione, rischi patologici). Riappropriazione delle esperienze centenarie che rischiano di scomparire.
- Difesa degli insiemi definiti primari: spazi che non sono mai stati sottoposti a sfruttamento antropico. Sono spazi che evolvono lentamente e sono molto delicati perché fortemente sensibili ai cambiamenti.
- Riportare i suoli al loro valore di patrimonio e non di fattore produttivo: nella carta dei suoli dare importanza alle sistemazioni, alle lavorazioni, all'erosione, alla regimazione delle acque e quindi al sistema idrogeologico.
- Suoli non solo entità fisiche ma anche biologiche: vita microbiologica dei terreni. Lavorare per la fertilità dei suoli e caratterizzare lo spazio di ambiente definito rizosfera. Si parla sempre più di epigenetica e cioè di espressione dei caratteri grazie a stimoli ambientali. Di certo la rizosfera gioca un ruolo importante nella manifestazione di un terroir.
- In ambito rurale il terzo paesaggio è costituito dai residui che occupano i rilievi accidentati, incompatibili con le macchine per lo sfruttamento agricolo, e tutti gli spazi di risulta direttamente legati all’organizzazione del territorio: confini dei campi, siepi, margini, bordi delle strade.
Per il suo dispositivo eterogeneo, la sua inconsistenza, il suo carattere temporalmente smisurato, il terzo paesaggio appare come il territorio dell’“invenzione biologica”. Può essere considerato come frammento condiviso di una coscienza collettiva nell’ambito di una stessa cultura. Dichiarando il territorio del terzo paesaggio luogo privilegiato dell’intera linea biologica è predisposto a reinventarsi costantemente”.
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