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La tutela dei “Paesaggi Rurali di Interesse Storico” è cultura, ma anche economia, biodiversità, socialità. Il messaggio di Soave Versus, dal quello che è il primo territorio inserito nel registro istituito dal Ministero delle Politiche Agricole

Tutelare i Paesaggi Rurali di Interesse Storico, nati dall’intervento dell’uomo sul territorio, non solo per preservali con un’ottica museale, ma anche per progettarne il futuro economico, sociale ed ambientale, con uno strumento legislativo e un marchio anche alternativo, se non più specifico, rispetto all’Unesco: ecco, in estrema sintesi, il senso del Registro dei Paesaggi Rurali di Interesse Storico voluto dal Ministero delle Politiche Agricole, che ha visto la nascita del primo catalogo, presentato a Soave Versus, a Verona (3-5 settembre, www.soaveversus.com), evento firmato dal Consorzio del Soave che tutela la “matricola n. 1” del registro, con le sue colline vitate. Un riconoscimento importante perchè, ha ricordato Luciano Ferraro del “Corriere della Sera”, “il paesaggio rurale è tutelato quanto più è vissuto dalla sua gente”. “Motivo di grande orgoglio, ognuno ha il territorio che si merita”, ha detto il presidente del Consorzio Arturo Stocchetti.
Ma anche simbolo di quanto la coltura della vite sia la grande protagonista di questa categoria di Paesaggio, come del resto lo è dell’agricoltura italiana, ha spiegato Mauro Agnoletti, docente di Gestione dei sistemi agricoli, alimentari e forestali all’Università di Firenze, e coordinatore del gruppo di lavoro per il progetto: “vigneti in primis, poi oliveti e seminativo sono i tipi coltura dominante nei Paesaggi Rurali Storici, e di conseguenza il vino è il prodotto tipico più presente in questo tipo di territori. Molti dei quali sono una eredità del Medioevo, il periodo che ne ha generati di più tra quelli che sono arrivati fino a noi. L’idea di questo registro - spiega - nasce da motivi che hanno a che fare non solo con la cultura, ma con l’economia, l’ambiente, il tessuto sociale di questi territori, e dalla volontà di valorizzare ancora di più le unicità e le distintività del nostro Paese, ma anche di affrontare della criticità. Basti pensare che dal 1920 al 2007 si sono persi 10 milioni di ettari agricoli, e non solo per colpa dell’urbanizzazione, che di certo è la cosa più impattante: 6 milioni di ettari sono ritornati a bosco, ad una natura non governata dall’uomo. Questo ci deve far riflettere da molti punti di vista: l’Italia, nonostante i grandi risultati delle sue esportazioni agroalimentari, al netto dei numeri è un Paese importatore, e questo vuol dire che non riesce a produrre quanto necessario a soddisfare i propri bisogni alimentari. Altro aspetto da sottolineare, è che le aree agricole dove c’è stato il maggiore abbandono, nell’81% dei casi, sono quelle dove c’è un vincolo paesaggistico. Questo vuol dire che il paesaggio agricolo è tutelabile soprattutto dall’agricoltore che riesce a produrre reddito. Ma qui si innesta un altro elemento, quello dell’industrializzazione dell’agricoltura, che in nome della meccanizzazione ha semplificato ed omogenizzato il paesaggio in nome della massimizzazione dei profitti. Sistema che oggi, però, sta mostrando segni di stanca: la “monocultura” imperante in alcune denominazioni del vino che erano storicamente a policoltura sta mostrando segnali di stanca”.
E questo registro, spiega Agnoletti, nasce “perchè non esisteva una tutela adatta, specifica per i paesaggi storici, e nemmeno uno strumento per dare una linea di indirizzo politico dei territori. Basti pensare alle frane che hanno colpito le Cinque Terre in liguria nel 2011, partite soprattutto da terreni coperti da boschi dopo anni di abbandono, non dai terrazzamenti coltivati. In futuro, in oltre, secondo gli accordi in conferenza Stato-Regioni, ci dovrebbe essere una priorità per questo tipo di territori agricoli nell’assegnazione dei fondi europei. Insomma,è un percorso che inizia: i primi a raggiungere questo riconoscimento sono stati Soave, Conegliano Valdobbiadene e l’Abbazia di Moescheta, ma ci sono già decine e decine di candidature. Ed nelle nostre intenzioni è che ci sia presto anche un marchio da poter utilizzare, in maniera volontaria, anche alternativo all’Unesco, verso cui tutti corrono, ma che mai potrà accogliere e tutelare tutto quello che abbiamo in Italia, e che pure lo meriterebbe. E quello del Registro è un percorso che va anche verso la tutela della biodiversità che è propria della storia agricola europea, e che anche realtà come la Fao sono sempre più impegnati a tutelare”.
Un percorso voluto dal Ministero delle Politiche Agricole e appoggiato dalla politica in maniera trasversale, come ha spiegato Massimo Fiorio, vicepresidente della Commissione Agricoltura alla Camera: “l’uomo deve stare al centro del Paesaggio, perchè il paesaggio è fatto dall’azione dell’uomo sul territorio che modifica, ed i paesaggi vitivinicoli in particolare hanno una riconoscibilità particolare ed una varietà altissima, e aiutano a mantenere vivi anche territori complicatissimi. E ci stiamo accorgendo che tutto questo ha anche un valore economico importante.
Nel 2006 si discuteva l’Ocm 2007-2013, e qualcuno ci diceva che il modello italiano sarebbe stato superato, che nel mondo vendevano i vitigni internazionali. Si parlava di modelli come Australia e Cile, dove però il vino nasce soprattutto in cantina, è meno legato al territorio, al contrario che da noi, e si pensava che il sistema delle denominazioni fosse un ostacolo. Oggi sappiamo che il legame tra vitigni autoctoni, territori e tradizioni funziona, e mentre in Australia stanno spiantando vigna noi cresciamo nel mondo. Il lavoro dell’uomo nel territorio è una cosa che va salvaguardata non in maniera museale, ma viva, perché è anche valore economico.

Il Registro dei Paesaggi Rurali storici è importante, è una alternativa all’Unesco - ha sottolineato Fiorio - ed il Soave è stato bravo: qui sento orgoglio di essere stati i primi per la voglia di raccontare questo legame tra il bel paesaggio e la qualità del vino. Nei prossimi mesi approveremo il Testo Unico del Vino, e il primo articolo riconosce il patrimonio vitivinicolo come patrimonio nazionale, e questo cambierà anche la prospettiva di lavorare. Si parla molto, per esempio del nuovo sistema delle autorizzazioni di impianto: anche in questo senso dobbiamo ragionare e tutelare la tipicità e l’eccellenza, perchè si corre il rischio che vitigni che oggi hanno grande spinta commerciale, vadano a sostituire vitigni che hanno fatto la storia dei territori”.
Ma quali sono le caratteristiche del territorio del Soave che hanno portato a questo riconoscimento? A spiegarle è stata Viviana Ferrario, architetta e ricercatrice all’università Iuav di Venzia: “nel curare il dossier della candidatura, abbiamo messo in evidenza come, per Soave, il paesaggo agrario sia iconico e abbia valore quanto il suo distintivo castello. Qui il vino è una realtà storica, è già citato alla fine del 1400, ed è stato uno dei primi territori con una viticoltura specializzata, come affermato nel Catasto Napoleonico del 1816. Inoltre è un territorio che, soprattutto in collina, ha resistito alla tentazione della meccanizzazione mantenendo la sua forma di allevamento del vigneti tipica, che è quella della pergola, e soprattutto ha il suo tessuto sociale ed umano fortemente coinvolto nel processo produttivo e nella tutela del paesaggio. Ed è una sorta di “isola” preservata dall’urbanizzazione, oltre che un paesaggio agricolo aperto, che chiunque può attraversare, perchè non ci sono recinzioni o steccati, e anche questo è un punto di forza per il futuro”.
Futuro che però, anche qui, va governato, a partire proprio dal riconoscimento del territorio come Paesaggio Rurale di Interesse Storico, anche con un cambiamento di alcune regole, come ricorda il direttore del consorzio, Aldo Lorenzoni:“è un bel momento, essere riconosciuti per primi per un motivo semplice, ma anche innovativo per l’Italia, e questo significa che per almeno 60 anni il territorio non ha cambiato ne forma ne indirizzi, ed è un riconoscimento per i nostri produttori che da 200 anni coltivano le nostre colline. Sono 7.000 ettari di vigna in collina, sono 3.000 produttori, piccolissime aziende, gente che fa veramente fatica, che si arrampica su questi colli, che coltiva a mano ogni singolo ettaro. Ecco la pergola veronese, ecco varietà che sono qui da sempre come la Garganega o il Trebbiano di Soave, ecco un territorio che non si ferma a produrre, ma che anche per la bellezza che conserva e per l’interesse che suscita, diventa un luogo di accoglienza. E in questo senso dobbiamo lavorare con più convinzione.
Ma un territorio di questo tipo, davanti alle sfide della nuova viticoltura e della meccanizzazione, vede i produttori chiedersi se davvero vale la pena continuare a fare così tanta fatica. E questo riconoscimento pone le premesse perchè questi territori dove è difficile coltivare la vigna, ma dove non si può far altro, devono avere degli strumenti e dei sostegni, dei riconoscimenti dedicati. Non vanno bene le regole che abbiamo oggi per la riconversione viticola, non vanno bene quelle che abbiamo per la nuove autorizzazioni di impianto, perché si rischia che territori come il Soave, ma non solo, che hanno fatto la storia dell’agricoltura italiana, vengano abbandonati, diventino marginali, e questo non possiamo permettercelo”.

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