Gli effetti del riscaldamento globale sulla viticoltura sono stati spesso al centro di analisi e approfondimenti, ma al di là della teoria, le prime conseguenze sono visibili ad occhio nudo, e le vediamo quotidianamente sugli scaffali di tutto il mondo: l’Inghilterra ha iniziato da qualche anno a produrre le sue bollicine, che già hanno la velleità di arditi paragoni con lo Champagne o l’obiettivo di poter soppiantare il Prosecco sul mercato interno, e regioni storicamente considerate ostiche, se non impossibili, si scoprono invece assolutamente adatte alla viticoltura. Come la Patagonia cilena, una delle zone più inospitali della terra, dove la morsa del freddo non concede tregua. Eppure, la vite è arrivata sin qui, nel 2010, quando Villaseñor, azienda cilena particolarmente sensibile all’innovazione ed alle sfide, ha deciso di piantare un ettaro di Pinot Nero, in una parcella riparata dal vento, dove le temperature sono cresciute, negli ultimi dieci anni, di due gradi, creando una finestra temporale, nella fredda estate australe, in cui le temperature vanno dai 14 ai 32 gradi, garantendo la maturazione delle uve.
Il risultato sono 1.200 bottiglie di “Puelo Patagonia” (Puelo è il luogo più vicino al vigneto, 1.000 chilometri a sud di Santiago del Cile, ndr), annata 2014, vendute interamente sul mercato cinese, a 120 dollari l’una. Già, perché quello che una volta era un territorio impossibile per la vite, pare avere una presa commerciale enorme, non solo tra i wine lover cinesi, ma anche tra quelli americani, tanto che anche la prossima annata è già sold out, tra Cina e Usa.
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