Siamo ancora nel mondo delle ipotesi, prevedere gli effetti reali della Brexit è impossibile, ma sarà un’uscita decisamente più dura e netta del previsto, come confermato ieri dalla premier britannica Theresa May, che ha tracciato le linee guida dell’addio della Gran Bretagna all’Unione Europea, che comincerà ufficialmente a fine marzo: nessun tipo di accordo, quindi nessun modello Norvegia, Svizzera o Turchia, ma l’uscita definitiva sia dall’Unione che dal mercato comune, per costruire poi un rapporto tra pari e ridiscutere ogni singolo patto. Ci vorranno almeno due anni, ma il mondo del vino è già, comprensibilmente, sulla corda, perché quello inglese non è un mercato come gli altri, né in senso assoluto, visto che stiamo parlando del secondo importatore mondiale, dietro alla Germania per volumi e dietro agli Usa per valori, né, tanto meno, per l’Italia: nel 2015 le spedizioni dal Belpaese hanno superato gli 844 milioni di euro, con le bollicine a quota 274 milioni di euro, primo mercato al mondo per la categoria.
Per ora, gli unici effetti tangibili arrivano dall’indebolimento della sterlina nei confronti dell’euro, che porta inevitabilmente in su i prezzi, ma il fronte delle sfide da affrontare e, soprattutto, dei punti da chiarire, è ampio, come ricorda, a WineNews, Luca Giavi, direttore del Consorzio Prosecco Doc, che spedisce in Uk il 43% di tutto l’export della denominazione. “Allo stato attuale - spiega Giavi - non ci sono grosse variazioni, l’ultimo dato che abbiamo, relativo ad ottobre 2016, non rivela grandi cambiamenti. La Gran Bretagna parla di uscita dal mercato unico europeo, bisognerà vedere come verrà tradotto all’atto pratico, e quindi se ci saranno dazi o accise. Si tratta, è bene ricordarlo, di un Paese che nel settore enoico dipende dalle importazioni, perciò le dinamiche che riguarderanno noi comporteranno le stesse difficoltà ai nostri competitor. Importante - continua Giavi - sarà la tutela delle indicazioni geografiche, ed è chiaro che se ci dovessero essere ripercussioni sui nostri prodotti noi faremo altrettanto con i loro, penso allo scotch”.
Nessun dramma, però, perché il vino italiano, ed il Prosecco in particolare, sa bene come muoversi fuori dai confini dell’Unione Europea, e lo dimostra il successo sul mercato Usa, che “di certo non è in Europa, ma certo le dichiarazioni del Premier inglese (Theresa May, ndr) non sono rassicuranti, ma noi dobbiamo rispondere con il pragmatismo, perché abbiamo grandi potenzialità, e se dovessimo incontrare difficoltà insormontabili sul mercato Uk lavoreremo per crescere altrove, c’è il mercato Orientale ancora tutto da scoprire, lo stesso mercato statunitense, dove siamo solo sulla East Coast e parzialmente sulla West Coast, manca essenzialmente il Sud America, dove un vino come il nostro, che va bevuto freddo ed ha pochi gradi, ha grandi possibilità. Le dichiarazioni - aggiunge il direttore del Consorzio del Prosecco Doc - vanno comunque sempre filtrate del loro contenuto retorico e politico: chi non ha un elettorato a cui parlare, come il presidente cinese Xi Jinping, ieri dal vertice economico di Davos ha difeso la bontà della globalizzazione, e la cosa ci tranquillizza più di quanto ci preoccupino le dichiarazioni della Gran Bretagna”.
“Il passaggio fondamentale, adesso, è la difesa delle denominazioni d’origine, dobbiamo augurarci che vogliano mantenere questo principio, al contrario, visto anche il mercato del Commonwealth, dovremmo fare i conti con la concorrenza dell’Australia, che continua ad etichettare come Prosecco vino fatto con qualsiasi tipo di vitigno. Sempre seguendo il principio di reciprocità, e ricordando - conclude Giavi - che la tutela delle denominazione è importante soprattutto per il consumatore, ed in Inghilterra si presta sempre più attenzione a questo aspetto: il danno che fa un venditore di vino alla spina chiamato erroneamente Prosecco è relativo per noi, ma assoluto per il consumatore, che nel bicchiere avrà un prodotto di basso livello invece di ciò che ha pagato. Per non parlare del controllo sulle materie prime e sul lavoro in vigna: non tutelare l’origine dei prodotti sarebbe un tradimento prima di tutto verso i consumatori”.
Un altro territorio che nella Gran Bretagna ha un partner privilegiato è quello del Chianti, come ricorda il presidente del Consorzio della più grande denominazione toscana, Giovanni Busi: “per noi l’Inghilterra è sicuramente un Paese importante, il Chianti va forte e quindi qualsiasi spostamento, specie se si parla di tasse d’importazione, per noi vuol dire tanta preoccupazione. Se aumentano, aumenta anche il prezzo di acquisto per i consumatori, e questo comporterebbe dei contraccolpi per tutti. Però - rileva Busi - prima del voto le previsioni erano a dir poco nefaste, e invece le Borse volano, l’economia inglese pure, quindi prima di esprimermi negativamente aspetterei di vedere cosa faranno realmente gli inglesi, perché non credo vogliano realmente isolarsi economicamente dal resto del mondo, la loro è un’economia basata sulla finanza, più l’economia gira e maggior profitto ne guadagnano. Non penso che si andrà verso l’istituzione di dazi e quant’altro, non sarebbe strategico neanche per loro”.
Altro tema caldo, come raccontato già dal direttore del Consorzio del Prosecco, Luca Giavi, è quello della difesa delle indicazioni geografiche, “che per noi sono fondamentali, rappresentano e valorizzano il legame con il territorio dei nostri prodotti, senza non potremmo competere, specie con potenze, in termini dimensionali, come Cile, Argentina, Cina, Australia e Sudafrica. Il territorio è vitale per la nostra economia vitivinicola - spiega il presidente del Consorzio del Chianti - solo a pensare di poter sopravvivere in un sistema che non tuteli le nostre produzioni territoriali abbiamo già perso: in Cile il produttore più piccolo ha migliaia di ettari, da noi neanche il più grande arriva a tanto. In questo, avrà un peso importante la politica, a partire da quella nazionale, che dovrà portare le nostre istanze all’interno dell’Unione Europea per non farci trovare impreparati quando le trattative entreranno nel vivo, sapendo che altri Paesi hanno sensibilità e necessità diverse, per cui dobbiamo batterci per avere il nostro protagonismo. Gli scenari - conclude Busi - possono essere bruttissimi o bellissimi, da agricoltore voglio essere ottimista, è un problema sul quale non abbiamo voce in capitolo, ma in fin dei conti ci sono tanti mercati extraeuropei in cui, nonostante i dazi, facciamo ottimi risultati, come la Russia, che prima dell’embargo era un mercato eccezionale ed in espansione”.
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