Altro che calo dei consumi: gli italiani, negli ultimi 5 anni, hanno aumentato i loro consumi di vino dell’8%. É la “buona novella”, per stare in periodo natalizio, annunciata oggi da Coldiretti, su dati dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, nell’incontro “Mercati del vino e innovazioni in vigna”, promosso a Roma dal Comitato di Supporto alle Politiche di Mercato del Vino della Coldiretti, coordinato da Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi, insieme al professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano, e del direttore Generale di Ismea, Raffaele Borriello (e di cui fanno parte, tra gli altri, cantine come Bellavista, Donnafugata, Mastroberardino, Ceretto, Albino Armani, Librandi, Casanova di Neri, Futura 14 di Bruno Vespa, Cantina Due Palme ...).
L’Italia con 22,6 milioni di ettolitri nel 2017 si colloca al terzo posto tra i maggiori consumatori di vino al mondo, sottolinea Coldiretti, dietro a Stati Uniti con 32,7 milioni ed una crescita del 5,7% nel quinquennio, e Francia con 27 milioni, che, però, fa registrare un calo del 2,8% nel periodo considerato. “Il trend di aumento dei consumi in Italia - dice la Coldiretti - è secondo solo alla Cina che, grazie ad una crescita dell’8,2% nel quinquennio, si classifica al quinto posto tra i paesi consumatori con 17,9 milioni di ettolitri, dietro alla Germania, con 20,1 milioni ma con andamento stagnate (-1,3%) nello stesso periodo”.
Numeri che raccontano una piccola rivoluzione, con il vino che, spiega ancora l’organizzazione,
“è diventato l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol. Lo dimostrano il boom dei corsi per sommelier, ma anche il numero crescente di giovani ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini e cresce tra le nuove generazioni la cultura della degustazione consapevole con la proliferazione di wine bar e un vero boom dell’enoturismo che oggi genera un indotto turistico di quasi 3 miliardi di euro l’anno ed ha conquistato nell’ultima manovra il suo primo storico quadro normativo”.
E la crescita si registra anche a livello globale, “con i consumi di vino - sottolinea Coldiretti - che hanno raggiunto i 244 milioni di ettolitri nel 2017 ,con un aumento complessivo del 2% in un anno. Una domanda alla quale risponde la produzione mondiale che nel 2018 si stima in 279 milioni di ettolitri, con un aumento del 13% rispetto al 2017 che era stato segnato da condizioni climatiche difficili di cui hanno risentito le produzioni di molti paesi. L’Italia con 48,5 milioni di ettolitri si conferma primo produttore mondiale, seguita dalla Francia (46,4 milioni), dalla Spagna (40,9 milioni), dagli Stati Uniti (23,9 milioni e dall’Argentina (14,5 milioni)”.
Ed in questo quadro, l’Italia corre, si conferma tra i leader mondiale, ma deve guardare al futuro.
“Il vino rappresenta la prima voce dell’export agroalimentare e non è un caso che il fatturato realizzato all’estero superi ormai quello a livello nazionale”, ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, che è anche produttore di vino con la cantina Perla del Garda, nel sottolineare che “il settore fa da traino all’intero made in Italy che va sostenuto con una unica società di gestione della promozione sul modello francese della Sopexa per far crescere ulteriormente le esportazioni”.
Che, per la verità, crescono ma, come noto, ultimamente, solo grazie agli spumanti, e segnatamente al Prosecco, come sottolineato dal dg Veronafiere Giovanni Mantovani. “Il settore ha vissuto una crescita come pochi altri, in dieci anni il Made in Italy è cresciuto in valore del 74%, quasi tre volte più dell’intero manifatturiero, e quasi il quadruplo rispetto all’abbigliamento e al tessile, e a fine anno è atteso un’altra performance record delle vendite all’estero, superiore ai 6 miliardi di euro. Ma cresciamo - ha sottolineato Mantovani - solo per effetto di un solo prodotto, il Prosecco. Qualcosa sta fermando il mercato dei vini fermi, a partire dalle agevolazioni doganali che hanno i nostri competitor in Argentina, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica. Inoltre il mondo del vino spagnolo corre, e a fine anno - ha segnalato Mantovani con preoccupazione - la nostra crescita dell’export, al netto degli sparkling, sarà pari a zero. Inoltre, si consoliderà il sorpasso nel primo mercato import al mondo, gli Usa, con la Francia in fuga che incrementa a doppia cifra. La crescita per il made in Italy ci sarà (+3,8%) ma sarà inferiore alla media export degli ultimi cinque anni”. Secondo il dg di Veronafiere, “la nostra storia di successo deve passare alla fase due. Agiamo molto bene come singole aziende e come aggregazioni di aziende che fanno promozione all’estero, anche attraverso i fondi dell’Ocm, ma manca un forte testimonial del nostro prodotto vinicolo. Vinitaly accompagna il comparto con record di presenze di buyer esteri da 140 Paesi, in numero superiore a quelli registrati da ProWein e VinExpo. E in Cina avremo presto 270 ambasciatori del vino italiano, formati da Vinitaly International Academy”.
Serve, insomma, investire nella promozione e nella comunicazione, perché, come ha ricordato Riccardo Cotarella, “non basta più fare vini di eccellenza. La qualità c’è, ma manca il mercato, e dunque occorre aiutare i produttori a rientrare dai sacrifici economici”. E la strategia migliore, secondo il presidente di Assoenologi, è puntare su un rapporto più stretto con gli importatori dei diversi Paesi per sapere cosa chiedono i consumatori.
Ma serve anche guardare all’innovazione, alle nuove tecnologie e all’agricoltura di precisione, come ricordato del dg Ismea Raffaele Borriello.
E affrontare con decisione il grande tema dei vitigni resistenti, come ha sottolineato il professor Attilio Scienza. “Sulla qualità dei vini espressi da questi vitigni ormai ci sono pochi dubbi, spesso vincono anche premi nei concorsi internazionali, e questo è rassicurante. Ma ci sono due problemi aperti. Il primo è quello che non si può pensare di rifondare la viticoltura italiana su 4-5 varietà resistenti, che poi sono tutte “del nord”, tutti incroci con lo Chardonnay, il Pinot e così via, e quindi si deve subito sviluppare concretamente un progetto per delle varietà resistenti del Centro-Sud. E poi c’è un problema di collocazione di queste varietà in una nomenclatura di vini importanti, perché ora si possono usare solo per qualche Igt, ma non per le Doc. E qui la novità è che da settembre di quest’anno, la Francia ha autorizzato le denominazioni ad utilizzare fino al 10% di questi vitigni resistenti per 5 anni, e poi se le cose andranno bene anche aumentare la percentuale, e questa è una grande cosa, perché se lo fanno i francesi, anche in Italia avremo degli argomenti in più per sostenere questa strada. Poi dalla Pac del 2020, in modo molto esplicito, si dice che si dovranno utilizzare sempre di più queste varietà, pensando alla sostenibilità soprattutto, ed è una posizione ufficiale importante. La loro diffusione e utilizzo non è più un problema scientifico ma politico, e spero che la Coldiretti, con la sua forza, sappia fare lobby sulle istituzioni, ma anche sull’aggregazione dei centri di ricerca, che vanno finanziati”.
E, secondo il presidente Prandini, è necessario “investire in innovazione esaltando tutto quello che distingue il patrimonio nazionale: 20 Regioni in cui si produce vino e in ciascuna delle quali si racconta una storia di vitigni autoctoni. Un’innovazione a tutto campo, dai vitigni all’impiego delle più avanzate tecnologie come i droni e le rilevazioni in campo finalizzate alla riduzione dei trattamenti sanitari. Occorre puntare sulla sostenibilità, perché lo vogliono i produttori e i consumatori”.
Per Prandini ci sono due aspetti strategici, la formazione, rafforzando il modello di alternanza scuola- lavoro, e le infrastrutture che non sono solo viabilità. “Solo nel 30% delle aree rurali, per esempio, arriva la banda larga”.
E sul tema dell’internazionalizzazione, ha detto ancora Prandini, “occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse, puntando a un’agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo sul modello della Sopexa. Ed è importante investire sulle ambasciate, per esempio creando dei principi nella valutazione delle ambasciate legati al numero dei contratti commerciali. E infine le Fiere. Tre poli fieristici, che lavorino, sodo sono sufficienti”.
Sul fronte dell’internazionalizzazione Prandini ha anche affrontato la questione degli accordi commerciali, e ha sottolineato come, nell’accordo Jefta, tra Ue e Giappone, sono state riconosciute solo 25 Doc e Docg, 20 nel Vietnam e 21 a Singapore, mercati interessanti per il vino, ma nei quali è precluso l’accesso a gran parte delle zone e delle realtà produttive.
Insomma, tanto è stato fatto, per un settore di assoluto successo, che ha puntato da anni sulla qualità (il 70% della produzione è fatta di vini Docg, Doc e Igt, con 332 vini a Denominazione di Origine Controllata, 73 vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita, e 118 vini a Indicazione Geografica Tipica) che, solo con la vendemmia, ricorda la Coldiretti, mette in moto 310.000 azienda agricole e quasi 46.000 aziende vinificatrici, su 652.00 ettari, e genera oltre 10,6 miliardi di fatturato dalla vendita del vino, realizzato più all’estero che in Italia, che offre opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone tra quelle impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale e quelle presenti in attività connesse e di servizio.
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