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Il vino protagonista nei portafogli dei collezionisti: il punto di forza è la bassa volatilità

Credit Suisse: lontane da gioielli e arte, ma le grandi griffe enoiche di Francia e Italia sono un investimento più sicuro dell’arte
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I rendimenti del vino

Nel grande mercato del collezionismo privato, il cui valore prima della crisi Covid-19 era stimato in 1.000 miliardi di dollari, si fa largo il vino. Non è una novità, vero, ma è importante notare che ormai i fine wine fanno parte stabilmente degli investimenti di ogni collezionista che si rispetti, seppure lontani da arte, orologi e gioielli, ma vicino alle auto d’epoca. Con cui condivide il buon rapporto tra rendimento e volatilità, come rivela l’analisi di Credit Suisse, che ha messo a confronto i diversi asset reali con le attività finanziarie. Nessuno degli in vestimenti in collectibles, garantisce la stabilità di gioielli e borse di lusso, ma se la fine art è senza dubbio la categoria più volatile e ciclica, il vino - come mostrano i numeri del Liv-ex 100, l’indice della “borsa” del mercato secondario dei fine wine - garantisce rendimenti annualizzati del 5,7% e con media volatilità, pari al 12,9%. Insomma, anche, o forse soprattutto, in un momento critico come quello che stiamo vivendo, gli investimenti in vino sono tra i più sicuri. E non solo e non tanto puntando sulle grandi griffe francesi, quanto sulle etichette italiane, specie piemontesi, che negli ultimi 12 mesi sono cresciute più della Borgogna.
Dagli ultimi dati del Liv-ex, aggiornati al 31 ottobre 2020, emerge, infatti, che l’Italy 100, formato dalle ultime 10 annate fisiche (2007-2016) dei grandi Supertuscan, ovvero Sassicaia, Masseto, Ornellaia ed il grande “trittico” della famiglia Antinori, formato da Solaia, Tignanello e Guado al Tasso, e ancora dal Sorì San Lorenzo (annate dal 2006 al 2011 e dal 2013 al 2016), dal Barbaresco (dal 2007 al 2016) e dallo Sperss (2005-2011 e 2013-2015) di Gaja, e l’immancabile Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno (con le annate dal 1999 al 2002, dal 2004 al 2006 e poi 2008, 2010 e 2013), è cresciuto del 3,8%, mentre il Burgundy 150 (focalizzato sulle annata 2008-2017 di Armand Rousseau, Comte Vogue, Georges Roumier, Domaine Ponsot, Domaine Clos Tart, Bonneau Martray, Coche Dury, Domaine Leflaive e Joseph Drouhin, e, dalla Romanee Conti, sulle annate 2006-2015 di Echezeaux e Grands Echezeaux, e sull’arco 2007-2016 di Romanee Conti, Romanee Saint Vivant, Richebourg e La Tache) perde addirittura il -6,6%.

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