Vendere riso ai cinesi, banalizzando, è un po’ come vendere il proverbiale ghiaccio agli eschimesi. Eppure, l’Italia lo farà. Perchè il Belpaese, primo produttore Ue (1 milione di tonnellate, il 60% destinato all’export), ha ricevuto l’ok da Pechino per le prime spedizioni delle nostre varietà da risotto (Carnaroli e Arborio). “Grazie a questo accordo, il riso italiano - sottolinea la Cia/Agricoltori Italiani - potrà esser apprezzato anche da decine di milioni di consumatori del Paese del Dragone. L’Italia è, attualmente, il primo produttore dell’Unione europea, assicurando oltre il 50% della produzione di riso, che si distingue da quello coltivato nel resto del mondo grazie a varietà tipiche, valorizzate grazie a marchi Dop e Igp che riconoscono le specificità dei territori di origine. Con 228.000 ettari coltivati (+4% nel 2020) e 4.000 aziende che raccolgono 1 milione di tonnellate di riso lavorato, si contano più di 200 varietà: dal Carnaroli, il “re dei risi”, all’Arborio e al Vialone Nano, primo riso Igp, passando per il Roma e il Baldo. Attualmente il 60% del riso italiano è destinato all’export, soprattutto in Germania e in Inghilterra”.
L’intesa corona un lungo negoziato diplomatico e tecnico condotto insieme al mondo imprenditoriale del comparto. Le agenzie fitosanitarie cinesi hanno, infatti, effettuato controlli molto severi e pignoli prima di autorizzare l’import del nostro riso, mandando in questi anni diverse delegazioni nelle aziende italiane per verificarne l’eccellenza dei metodi di produzione. “Un via libera tanto atteso su un mercato di primaria rilevanza per l’agroalimentare italiano - dichiara Dino Scanavino, presidente Cia/Agricoltori Italiani - si tratta di un successo che ha visto le istituzioni e la filiera risicola nazionale unite in difesa del riso italiano e alla conquista di nuove quote di mercato. Per l’Italia, primo produttore europeo, si apre ora un mercato importante, con milioni di cinesi pronti ad apprezzare il nostro risotto”.
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