La lotta al caporalato in agricoltura è un tema atavico, eterno, contro un fenomeno aberrante di cui la filiera e la società non riescono a liberarsi. Una lotta che prima di tutto, come sempre, per essere vinta, imporrebbe una rivoluzione culturale, che chiama in causa il comportamento dei consumatori, spesso più disposti a pagare di più per beni futili che per il cibo, ma anche di quegli imprenditori disonesti, che per fortuna sono i meno, ma che pur esistono, e che mettono la logica del profitto sopra la dignità delle persone. E questioni complesse e che travalicano i confini nazionali, come l’immigrazione clandestina, che spesso fornisce manodopera a basso costo a caporali e sfruttatori.
Ma passa anche per azioni concrete, come quelle che, si spera, nasceranno dall’ennesimo protocollo firmato in materia, firmato oggi al Viminale dal Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, delle Politiche agricole alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, il presidente del consiglio nazionale di Anci, Enzo Bianco, i rappresentanti della Fondazione Osservatorio agromafie, Ettore Prandini, dell’Osservatorio Placido Rizzotto, Giovanni Mininni, della Fondazione Fai Cisl Studi e Ricerche, Onofrio Rota e della Fondazione Argentina Bonetti Altobelli, Giorgio Carra.
Per il ministro Lamorgese si tratta di un ulteriore tassello che si colloca nel più articolato mosaico delle attività di contrasto al caporalato, rafforzando l’armamentario istituzionale a difesa della legalità. “Insieme possiamo fare un buon lavoro. Occorre l’impegno di tutti”, ha dichiarato la responsabile del Viminale.
Come amministrazione dell’Interno, cui fanno capo i Fondi Pon legalità e Fami, ha ricordato la Lamorgese nel suo intervento, è stato già portato a conclusione un accordo in Puglia, a Borgo Mezzanone. Qui, sarà realizzata una foresteria regionale con moduli abitativi che potranno ospitare fino a 1.300 migranti e un centro per l’impiego, finalizzati a contrastare il fenomeno del caporalato attraverso la facilitazione, in una cornice di legalità, dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. “Analogo protocollo”, ha aggiunto, “verrà firmato in Calabria, nella piana di Gioia Tauro”.
Un ruolo di primo piano è attribuito ai prefetti che, nell’esercizio di amministrazione generale, potranno concorrere, anche attraverso i consigli territoriali per l’immigrazione, all’individuazione e alla realizzazione delle azioni e degli interventi di prevenzione e contrasto più adeguati in sede locale.
“Lavoreremo per consolidare e rafforzare la misura dei contratti di filiera anche mediante il ricorso alle risorse rese disponibili dalla programmazione complementare al Pnrr”, ha dichiarato il Ministro Orlando. “Non vi è alcun dubbio - ha aggiunto - che bisogna agire per introdurre, accanto a meccanismi repressivi, anche delle misure premiali a favore delle aziende che aderiscono alla rete del lavoro agricolo di qualità. É fondamentale proseguire nel metodo fino ad ora seguito, quello della sinergia tra i corpi intermedi e società civile, è davvero l’unico modo per agire in modo incisivo”.
Per il Ministro Patuanelli le istituzioni devono essere capaci “di mantenere il tema al centro del dibattito. Ritengo che ci siano due questioni distinte sul caporalato: quella patologica, che compete al ministero dell’Interno e alle Forze dell’ordine, e quella strutturale. Su quest’ultima bisogna incidere con le normative. Vedere e valutare quali sono le esigenze dei territori. Abbiamo con forza chiesto di ampliare la misura per i contratti di filiera che sono fondamentali”.
“Appoggio convinto” all’accordo da parte del presidente Anci, Bianco. Il protocollo sottoscritto oggi arricchisce il sistema di cooperazione interistituzionale attraverso il diretto coinvolgimento di prefetture e Comuni per assicurare l’attuazione delle misure previste dal piano territoriale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato. Un’azione che tra pochi giorni potrà avvalersi anche dei primi dati sulla mappatura reale della situazione del fenomeno nel nostro Paese.
Con riferimento alla governance delle attività, il documento, inoltre, prevede: l’istituzione presso il ministero dell’Interno di una Consulta composta da rappresentanti di ciascuna delle parti firmatarie; la nomina del presidente d’intesa tra i ministri dell’Interno, del Lavoro e delle politiche sociali, delle Politiche agricole, alimentari e forestali, sentita Anci; la possibilità per la Consulta di invitare a partecipare ai propri lavori soggetti pubblici, privati o individui di comprovata esperienza nel settore.
“Il patto di filiera contro il caporalato rappresenta un’importante azione di responsabilizzazione delle istituzioni nazionali e locali per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il loro lavoro e gettano un’ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell’attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale”, commenta il presidente Coldiretti, Ettore Prandini. “È importante l’impegno dei rappresentanti del Governo per consolidare, ampliare e rafforzare i contratti di filiera anche mediante il ricorso alle risorse rese disponibili dalla programmazione complementare al Pnrr. Occorre spezzare la catena dello sfruttamento che - sottolinea Coldiretti - si alimenta pure dalle pratiche sleali commerciali e dalle distorsioni lungo la filiera, dalla distribuzione all’industria fino alle campagne dove i prodotti agricoli pagati sottocosto pochi centesimi spingono le imprese oneste a chiudere e a lasciare spazio all’illegalità. Il risultato è che, ad esempio, quando si acquista una passata al supermercato, si paga più per la confezione che per il pomodoro contenuto. In una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%) - secondo la Coldiretti - è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità. Un paradosso che è favorito dalla concorrenza sleale delle importazioni low cost dall’estero con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia, dal pomodoro cinese al riso asiatico, dall’ortofrutta sudamericana fino alle nocciole turche, che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso anche grazie ad agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. Un cambiamento importante è stato ottenuto nell’ambito della riforma della Politica Agricola Europea con l’avvio del dibattito sulle restrizioni alle importazioni extracomunitarie di prodotti che non garantiscono gli standard europei” ha concluso il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel ricordare “i passi in avanti sul tema della condizionalità sociale e dei diritti dei lavoratori sostenuto dalla Coldiretti”.
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