Il sistema agroalimentare si conferma, anche nell’anno della pandemia, settore chiave della nostra economia, pesantemente colpita dalle restrizioni legate al contenimento della malattia. A rivelarlo sono gli studi, raccolti dall’ultima edizione dell’Annuario dell’agricoltura italiana, a cura del Centro Politica e Bioeconomia del Crea - Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (presentato dal Presidente Crea Carlo Gaudio, dal Capo di Gabinetto del Ministero delle Politiche Agricole Francesco Fortuna, dal Sottosegretario Francesco Battistoni e dal Presidente Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati Filippo Gallinella).
I numeri parlano di una contrazione del valore della produzione di agricoltura, silvicoltura e pesca pari al -2,5% nel 2020 dato che si colloca ben al di sotto di quella dell’intero Pilche ha vissuto la caduta più rilevante a partire dalla Seconda Guerra Mondiale (-8,9%). Il crollo della ristorazione fuori casa, solo in parte compensata dalla crescita del commercio (dettaglio e ingrosso) e dall’impennata delle vendite alimentari on line, si sono tradotti in una contrazione del fatturato (-4,8%), il cui valore ammonta ad oltre 512 miliardi di euro con un peso sull’intero sistema economico pari al 17% del totale. A trainare il settore ha contribuito anche il fatturato degli scambi con l’estero: nel 2020, infatti, si registra l’inversione di segno della bilancia commerciale agro-alimentare, il cui saldo, dopo il pareggio dell’anno precedente, per la prima volta presenta un valore positivo, pari a 2,6 miliardi di euro, legato alla buona performance del Made in Italy (+2% di export). Indiscusso il contributo alla bioeconomia da parte dell’agricoltura e dell’industria alimentare, con un peso di oltre il 63% sul fatturato totale, stimato dal Crea in poco meno di 317 miliardi di euro, che colloca l’Italia, insieme a Germania e Francia, in una posizione di leadership a livello europeo. Da segnalare, inoltre, l’incremento del suo peso sul totale dell’economia, salito al 10,2%, proprio grazie alla migliore tenuta mostrata dal primario e dall’industria alimentare, rispetto agli altri settori.
Sul fronte della produzione agricola, pari ad oltre 55,7 miliardi di euro, si è registrata una diminuzione del suo valore (-2,4%) sebbene si presentino dinamiche diversificate. Le coltivazioni si rafforzano ulteriormente come la componente principale rappresentando il 53% del totale, (nonostante i prodotti vitivinicoli e floricoli siano stati colpiti pesantemente dalle restrizioni necessarie ad arginare i contagi), mentre il comparto zootecnico si attesta al 29% del totale della produzione agricola nazionale, per la flessione dei prezzi delle carni, a seguito della diminuzione dei consumi.
L’Italia continua a detenere all’interno dell’Unione Europea primato dei prodotti di qualità certificata Dop/Igp(prodotti vitivinicoli, vegetali freschi e trasformati, formaggi e oli di oliva) cui si aggiungono i 5.333 prodotti agro-alimentari tradizionali, quei prodotti ottenuti con metodo tradizionale, dall’elevato valore gastronomico e culturale riconosciuti in ambito nazionale. Negativa, invece, la performance delle attività di diversificazione dell’agricoltura (attività di supporto e secondarie), componente assolutamente caratterizzante l’agricoltura italiana, con il loro peso complessivo sul valore della produzione che resta comunque elevato: pari al 20% del totale. In particolare, le attività secondarie registrano un calo del -21% circa, a causa della caduta verticale dei servizi legati alle attività agrituristiche, dovuta al lockdown. In calo anche il settore ittico nazionalecon una contrazione sia delle attività di cattura (-26% dei quantitativi sbarcati e - 28% del loro valore), sia delle attività di allevamento (-9% della produzione della piscicoltura). Mentre si presenta in controtendenza il settore forestale (+1% della produzione) con l’aumento della superficie boscata (oltre il 36% del territorio nazionale, più di 11 milioni di ettari, di cui ben 3,5 milioni in aree protette) e l’elevata eterogeneità, che rendono l’Italia il primo Paese dell’Ue in termini di diversità a livello di specie e di ecosistemi forestali.
Si conferma rilevante, poi, sottolinea ancora il Crea, la spesa pubblica per il settore agricolo: 11 miliardi di euro nel 2020. Dall’Ue proviene ben il 64% di questo sostegno, mentre, i fondi nazionali coprono appena il 16% e quelli regionali il restante 20%. “L’Annuario dell’agricoltura italiana - spiega Carlo Gaudio, presidente Crea - sin dal 1947, fornisce una visione di insieme sulle caratteristiche e le dinamiche attuali del sistema agroalimentare nazionale, evidenziandone le linee evolutive. Si tratta di una serie storica unica, di un consistente patrimonio di conoscenze, di uno strumento prezioso e apprezzato, indispensabile per tutti coloro che sono interessati a saperne di più del nostro settore primario, assolvendo ad una delle attività istituzionali del Crea a supporto delle istituzioni e degli operatori del settore”.
“L’annuario del Crea 2020 - illustra Francesco Battistoni, Sottosegretario delle Politiche Agricole- è uno strumento utile a comprendere meglio i punti di forza e di debolezza del nostro sistema agroalimentare. È importante l’analisi sul 2020 perché è stato un anno molto delicato a causa della pandemia dettata dall’avvento del Coronavirus. Dai dati emerge che l’agricoltura italiana ha retto molto bene, contenendo al meglio la flessione economica globale e garantendo ai cittadini italiani standard quantitativi e qualitativi sempre adeguati. Di questo siamo grati a tutti gli agricoltori che non si sono mai fermati, neanche sotto lockdown. I dati sull’export denotano ancor più la nostra capacità di penetrare i mercati internazionali, anche in periodi di enorme difficoltà come quelli vissuti nel 2020. Ringrazio tutti coloro che si sono dedicati all’annuario, un lavoro eccellente che offre a tutti noi una valida opportunità di analisi e riflessione”.
“La novità interessante - ha commentato Filippo Gallinella, presidente Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati- è lo studio sulla spesa pubblica e sul valore fondiario: quest’ultimo ci dimostra, analizzando le variazioni nel tempo, dove gli investimenti hanno portato valore aggiunto e dove, invece, non c’è stata una crescita e l’azione politica e gestionale andrebbero evidentemente riviste”.
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