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ALLARME CIBO

Tra tensioni con la Russia e direttive Ue, la Coldiretti alza l’allerta su cereali e allevamenti

Si teme la ulteriore stretta dell’import di grano e mais dal Cremlino, e spaventa l’estensione di una direttiva Europea contro le emissioni
ALLEVAMENTI, CARNE, CEREALI, Coldiretti, EMISSIONI, Guerra, RUSSIA, UE, Non Solo Vino
Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini

Tra le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina, con una situazione sempre più tesa anche per Italia e Ue, e decisione interne alla stessa Unione Europea, sale l’allarme di Coldiretti sul fronte dei cereali e della carne. “Dalla Russia arriva lo stop alle forniture alimentari ai Paesi considerati ostili come l’Italia che nel 2021 ha importato cibo da Mosca per un valore di 258 milioni di euro, anche se in aumento del 56%”, sottolinea la Coldiretti, analizzando i dati Istat, sugli effetti della minaccia del presidente Vladimir Putin sul fatto che la Russia dovrà essere “più prudente” con le esportazioni di cibo all’estero, “specialmente verso i Paesi ostili”. La metà del valore delle esportazioni alimentari russe in Italia riguarda i cereali per un importo di 136 milioni e tra questi - sottolinea la Coldiretti - soprattutto il grano per un quantitativo di 153 milioni di chili, dei quali 96 milioni di chili di tenero per la panificazione e 57 milioni di chili di duro per la produzione di pasta. La Russia è diventato il principale esportatore mondiale di grano ma la dipendenza dell’Italia risulta limitata con appena il 2,3% del totale del grano importato dall’estero, tra duro e tenero. Da segnalare che dalla Russia arriva in Italia per un valore di 58 milioni di euro anche olio di semi ma per questo prodotto i problemi maggiori per l’Italia sono dovuti soprattutto alle difficoltà di esportazione nella Penisola dall’Ucraina che erano pari a 326 milioni di euro. Dall’Ucraina in Italia arriva anche ben il 13% delle importazioni di mais destinato all’alimentazione degli animali per un totale di 785 milioni di chili e appena il 2,7% delle importazioni di grano tenero per la panificazione per un totale di 122 milioni di chili, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat relativi al 2021.
L’Italia peraltro - precisa la Coldiretti - importa la metà del mais di cui ha bisogno per oltre 6 milioni di tonnellate provenienti prevalentemente da Ungheria 30% (1,85 milioni di tonnellate), Slovenia 13% (780.000 tonnellate) e appunto Ucraina (770.000 tonnellate), secondo lo studio Divulga. Va tuttavia segnalato - continua la Coldiretti - che, tra pochi mesi, inizierà la raccolta del grano seminato in autunno in Italia dove secondo l’Istat si stimano 500.596 ettari a grano tenero per il pane, con un incremento dello 0,5% mentre la superfice del grano duro risulta in leggera flessione dell’1,4% per un totale di 1.211.304 ettari anche se su questa prima analisi pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che potrebbero portare a rivedere il dato al rialzo. Positiva è anche la notizia della prima spedizione di migliaia di tonnellate di mais dall’Ucraina attraverso il treno diretto ai confini ovest con i porti del Paese che rimangono bloccati a causa dell’invasione russa.
“In questo contesto è importante il via libera dell’Unione Europea alla semina in Italia di altri 200.000 ettari di terreno per una produzione aggiuntiva di 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, necessari per ridurre la dipendenza dall’estero”
, afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare “si tratta di un quantitativo che nel medio periodo può aumentare di almeno cinque volte con la messa a coltura di un milione di ettari lasciati incolti per la insufficiente redditività, per gli attacchi della fauna selvatica e a causa della siccità che va combattuta con investimenti strutturali per realizzare piccoli invasi che consentano di conservare e ridistribuire l’acqua”.
Intanto però, secondo Prandini, l’adozione della proposta di direttiva che allarga il campo di applicazione della norme sulle emissioni industriali ad allevamenti molto più piccoli di quelli già previsti per l’allevamento suino e avicolo, e inserisce anche l’allevamento bovino, “spinge alla chiusura in Italia migliaia di allevamenti che si trovano già in una situazione drammatica per l’insostenibile aumento di costi di mangimi ed energia provocati dalla guerra in Ucraina”. La nuova proposta di direttiva - spiega la Coldiretti - estende una serie di pesanti oneri burocratici a quasi tutti gli allevamenti dei settori suinicolo, avicolo e bovino che vengono considerati alla stregua di stabilimenti industriali e dovranno sottostare a rigide norme in materia di controlli ed autorizzazione con livelli di burocrazia e costi insostenibili soprattutto per alcune realtà marginali situate nelle aree interne. “Una decisione che colpisce direttamente gli allevatori ed i consumatori in Italia che dipende già dall’estero - sottolinea Prandini - per il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Il rischio è quello di colpire la produzione nazionale ed europea per favorire le importazioni da paesi extracomunitari spesso realizzate senza il rispetto degli stessi criteri, sanitari, ambientali e sociali richiesti all’interno dell’Unione Europea”. “Serve senso di responsabilità - continua Prandini - da parte delle Istituzioni nazionali e della Ue affinché nei prossimi passaggi dell’iter legislativo in Parlamento ed in Consiglio Ue, possa essere profondamente rivista la proposta della Commissione Ue, con l’impegno dei Ministri coinvolti e degli eurodeputati italiani. L’Italia rischia di rimanere senza carne in una situazione in cui - precisa Prandini - gli allevatori italiani devono affrontare incrementi di costi pari al 57% secondo il Crea che evidenzia il rischio concreto di chiusura per una buona parte degli allevamenti italiani che si trovano costretti a lavorare con prezzi alla stalla al di sotto dei costi di produzione. In un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza, a Bruxelles si rischiano di fare scelte che aprono la strada alla carne sintetica” conclude Prandini nel sottolineare che “la carne italiana nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne.

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