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LA RIFLESSIONE

Dalla logistica al climate change, dal salutismo ai vini dealcolati, la visione di Pau Roca

Il dg Oiv (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino): “il settore può cercare solo risposte globali ai problemi che affronta”
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Il dg Oiv (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), Pau Roca

Il mondo del vino, che ha vissuto un 2021 di grande recupero dopo un 2020 disastrato dalla fase più acuta della pandemia (con il record storico mondiale delle esportazioni, a 34,3 miliardi di euro, in crescita del 16% sul 2020), nel 2022 ormai inoltrato si trova ad affrontare problemi strutturali, come il cambiamento climatico, congiunturali, come la guerra e le sue conseguenze, e di prospettiva, come l’equilibrio tra tutela della salute e consumo di vino e alcolici, o la gestione di cambiamenti di mercato che chiedono prodotti come i vini low alcol o dealcolati. Problematiche sulle quali le risposte si possono trovare solo a livello globale, e non ragionando localmente. Ne è convinto il direttore generale dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv), Pau Roca, che, ieri, ha presentato i dati sullo stato del settore.
Il tema più pressante, ovviamene, è quello delle difficoltà legate all’aumento dei costi energetici e alla reperibilità, oltre che all’aumento dei prezzi, di materie prime come vetro per le bottiglie, carta per le etichette e così via, e dei trasporti. “È un problema che la guerra ha solo acuito, perchè era già ben presente dalla fine dello scorso hanno - ha detto Pau Roca - ed una risposta può venire dall’innovazione, che è importante per combattere e superare questa crisi. Le aziende devono investire in questo senso”. Secondo Roca, di fatto, siamo difronte ad un passaggio epocale nella gestione delle vari fasi della filiera del vino, la cui portata è paragonabile a quanto vissuto nel passaggio dall’analogico al digitale. Ma se le imprese devono fare la loro parte, “è altrettanto importante che i diversi Governi accompagnino il settore in questa fase di cambiamento, magari attraverso aiuti o sgravi fiscali, per dare modo alle imprese di gestire questa fase di transizione. In ogni caso, l’aumento dei costi amplificati dalla guerra (il costo dei container per le spedizioni è cresciuto anche di 20 volte rispetto ad un anno fa, quello dei pallet di 7, per fare degli esempi), sta colpendo tutto il trade del vino, e soprattutto la fascia dei vini entry level che hanno meno marginalità. Ma ci sarà comunque una riduzione della domanda di vino nei prossimi, e in questa fase i Governi dovranno essere bravi a non aumentare le tasse, cosa che creerebbe una ulteriore enorme distorsione sul mercato”.
Altro tema ben presente e strutturale da affrontare è, invece, quello del cambiamento climatico, con tutti i suoi effetti anche sulla filiera vitivinicola. Per la quale, sottolinea Roca, “la crisi climatica è molto più grande e profonda rispetto alle contingenze che stiamo vivendo. È un dato di fatto, esiste e dobbiamo affrontarlo. E ci sono due strade per farlo: la mitigazione degli effetti, e l’adattamento al nuovo scenario. E penso che il vino debba seguire la strada dell’adattamento, perchè ha le forze, le conoscenze e le risorse economiche per farlo”.
Altra questione aperta, è il rapporto tra consumo di vino, di alcolici e salute, con il settore che si sente costantemente sotto attacco, soprattutto (ma non solo) in Europa. Come raccontano anche le recenti diatribe, per ora superate, legate, per esempio, al “Beating Cancer Plan” Ue, che, in una prima fase, avrebbe voluto vedere sulle bottiglie di vino avvisi sui rischi per la salute come quelli sui pacchetti di sigarette. Richiesta poi superata grazie ad un complesso lavoro diplomatico guidato proprio dall’Italia.
Ma, sul tema in generale, il dg Oiv Roca è chiaro: “l’Oiv è un’organizzazione tecnica, ci affidiamo alla scienza, è il nostro fondamento. Le problematiche per la salute non si possono attribuire ad una sostanza, ma ad un comportamento, ad uno stile di vita. E la ricerca ci dice che il vino offre più soluzioni che problemi contro l’abuso di alcol, perchè quello del vino è un consumo culturale. Ma per sostenere con più forza questa linea, serve serve uno studio più profondo sulle modalità di consumo associate al vino”.
Altra questione aperta, nella filiera, è quella legata al vino low alcol o al vino dealcolato, prodotti che gli studi dicono avere sempre più mercato, ma che, secondo alcuni, non dovrebbero neanche chiamarsi “vino”. E, a domanda di WineNews, il dg Oiv Pau Roca ha risposto: “le leggi, su questi aspetti, li fanno gli Stati e gli organismi preposti. Noi in Oiv dobbiamo lavorare per arrivare alla definizione di pratiche enologiche precise che rendano questi prodotti bevibili da un punto di vista qualitativo. Ma credo che, in ogni caso, sia importante far sì che questi prodotti restino in qualche modo legati alla filiera vitivinicola, che restino parte di un processo che parte dall’agricoltura. Senza dimenticare un obiettivo possibile che è quello di coinvolgere quei consumatori del mondo che, in qualche modo, vogliono bere vino, ma non vogliono o non possono bere alcol”.

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