Il vino è la bevanda più esportata al mondo, con un giro d’affari, nel 2019, di 35,7 miliardi di dollari, più di whiskey (34 miliardi di dollari) e birra (16,5 miliardi di dollari), ma anche di bibite (21,3 miliardi di dollari) e succhi di frutta (14,6 miliardi di dollari). Ma è anche una delle produzioni geograficamente più localizzate: in Unione Europea viene infatti prodotto il 60% del vino, e dai Paesi della Vecchia Europa parte il 67% delle esportazioni, comprese ovviamente quelle intracontinentali. Giocano un ruolo importante, dal punto di vista produttivo e commerciale, anche Usa, Cina, Argentina e Australia, Paesi legati da relazioni diplomatiche e commerciali fondamentali.
Come ricorda la ricerca “Wine: The Punching Bag in Trade Retaliation”, curata da University of Illinois at Urbana-Champaign, Washington State University e Texas Tech University, però, esistono enormi differenze tariffarie tra Paese e Paese, e se ad esempio il commercio tra i Paesi Ue non sottosta ad alcun tipo di dazio, ci sono mete in cui i dazi raggiungono anche il 40% per l’imbottigliato ed il 64% per il vino sfuso, oltre a Paesi tradizionalmente islamici in cui le tariffe raggiungono livelli tali da rendere quasi impossibile la commercializzazione di vino: in Egitto, ad esempio, i dazi sul vino sono al 1.800%, in Giordania al 654%.
Come se non bastasse, e come suggerisce il titolo della ricerca, il vino negli ultimi anni ha spesso pagato lo scotto di tensioni e scontri tra grandi potenze economiche, finendo nelle liste dei prodotti sanzionati in termini tariffari. Con il risultato, piuttosto ovvio, di una contrazione del giro d’affari, quantificata in 340 milioni di dollari persi all’anno. È successo nel 2020, quando gli Usa, nell’ambito dello scontro d’alta quota con la Ue sugli aiuti ad Airbus, portarono i dazi sul vino di Francia, Spagna e Germania al 25% /dal 2,41%). L’Europa, che da parte sua imputava a Washington le stesse responsabilità su Boeing, fece altrettanto, alzando le tariffe sul vino Usa al 25% (dal 3,48%).
Ancora più dura, alla fine del 2020, fu la decisione della Cina, che nel pieno dello scontro politico e commerciale con l’Australia ha portato le tariffe sul vino australiano, fino ad allora importato a dazi zero, al 116-212%. In sostanza, le ritorsioni tariffarie hanno riguardato quasi 2,7 miliardi di dollari di vino commercializzato nel mondo: una completa liberalizzazione permetterebbe invece un’espansione del commercio enoico di 76 milioni di dollari.
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