La presenza di oggettiva qualità, la capacità di suscitare emozioni e curiosità, la sostenibilità economica, ambientale e sociale, e l’idea che il produttore vuole trasmettere: ecco le caratteristiche che definiscono i fine wine. Ma chi sono i consumatori che li comprano e come possono i produttori influenzare il posizionamento dei propri vini? Ne hanno parlato, nel Business Forum Wine2Wine 2022, di scena oggi e domani a Verona - l’autrice Pauline Vicard dell’Istituto Areni Global e il consulente di business strategies americano Peter Yeung, stimolati da Ettore Nicoletto e Andrea Lonardi, rispettivamente ceo e direttore operativo di Bertani Domains.
Secondo uno studio dell’Istituto Areni Global effettuato su Stati Uniti, Gran Bretagna, Honk Kong e Cina, il mercato dei fine wines è un mercato di nicchia che coinvolge percentuali minime di vendita sia in Asia che in occidente (il 7% in America, ed esempio), ma coinvolge 3 fasce diverse di prezzo, dove la prima (dai 30 ai 150 dollari) è accessibile a più persone rispetto alle due superiori (150-450 dollari e oltre i 450 dollari). Demograficamente parlando è un mercato più maschile in occidente, ma trasversalmente coinvolge consumatori giovani, sotto i 44 anni di età. Le ragioni di acquisto restano le stesse (eventi speciali, regali, investimenti), ma nelle fasce di prezzo più alte influiscono - ovviamente - anche altri fattori: volersi sentire unici ed esclusivi e poter accedere ad un prodotto di scarsa produzione (che sia effettiva o costruita, non importa), essere intenditori o particolarmente appassionati, avere disponibilità economiche elevate anche per un consumo quotidiano, e infine essere collezionisti.
Ma come accedere a questo segmento di mercato? Il valore che si vuole trasmettere, l’aspettativa in termini di qualità, la reputazione del marchio, la qualità relativa comparata al contesto e infine la disponibilità del consumatore a pagare: questi sono i 5 punti su cui dovrebbero ragionare i produttori nel definirsi e quindi decidere in quale fascia di prezzo posizionarsi, secondo il consulente in finanza, marketing e strategie aziendali americano Peter Yeung. La sintesi è che ci vogliono analisi e intuito: l’analisi più approfondita e puntigliosa - descritta nel libro Luxury Wine Marketing scritto dallo stesso Peter Yeung - non saranno mai sufficienti per prendere la decisione giusta, perché le contingenze possono cambiare e ci vuole la sensibilità per adeguare la propria realtà (coi suoi limiti e le proprie potenzialità) alle fluttuazioni di mercato, ad esempio, anche in termini di trend dettati dai consumatori, o delle condizioni socio-economiche dei Paesi in cui si vuole vendere. La base di partenza è che le regole che determinano i prezzi dei vini commerciali sono diversi dai fine wine: cambia la base dei consumatori disposti a comprarli (serve una disponibilità di portafoglio decisamente buona), cambia il peso del brand (che rende meno sostituibile una marca dall’altra) e cambia anche il mercato di riferimento (dove i costi marginali influiscono meno sulla definizione del prezzo). Esiste poi uno spettro di prezzo (abbastanza ampio) dei fine wine da tenere presente, che parte dalla base più bassa a rappresentare il lusso abbordabile di consumo quotidiano (dai 50 ai 150 dollari), passando dal consumo quotidiano per il compratore ricco (dai 100 ai 400 dollari), al vino di lusso per occasioni speciali (dai 200 ai 999 dollari) per arrivare ai vini iconici di brand riconosciuti (da 500 a oltre 1000 dollari) e finire con i vini da sogno, che oltre ad essere prodotti da brand iconici, sono anche rari (oltre i 1.000 dollari). Date queste premesse, non deve mai mancare la qualità: consistente e garantita nel tempo, deve essere la sostanza che rende possibile posizionare il proprio vino a livelli desiderati.
Il marchio dev’essere forte e riconosciuto e ciò che lo supporta sono i ranking mondiali (anche online), il mercato secondario, un’offerta che supera la domanda e che dà il senso di scarsità o rarità, e la percezione da parte del consumatore di non essere un prodotto facilmente sostituibile. Anche il contesto in cui opera l’azienda ha influenza (e facilita la costruzione del brand): il territorio che rappresenta o il vitigno coltivato incidono molto sulla qualità percepita del consumatore e quindi sulla possibilità di definire il proprio prezzo perché veicolano unicità e irreplicabilità. Aumentando la lente, è giusto, come detto, tenere da conto anche le influenze esterne: dalle politiche doganali, alle congiunture economiche, fino alla macro-diffusione del benessere e di conseguenza alla disponibilità di liquidità disponibile. Serve poi una visione sia di breve che di lungo termine: decidere quando e come alzare il prezzo del proprio vino è, infatti, essenziale. Farlo in un lasso di tempo troppo breve, può disaffezionare il cliente abituale, perché si passa da un segmento di consumatori all’altro, tradendo la disponibilità del precedente e cogliendo impreparato quello a cui ci si vuole rivolgere. Allo stesso modo, la scontistica può avere effetti negativi: può minare il percepito della qualità nel consumatore o comunicare difficoltà di vendita; in ogni caso, associa il marchio ad una categoria di prezzo inferiore da cui poi è difficile smarcarsi e incentiva il consumatore a comprare solo in periodo di saldi.
Tempo, costanza, scarsità, riconoscibilità (in termini di brand ma anche di territorio) e reputazione, sono quindi i mattoni su cui si basano le scelte dei consumatori e su cui devono imparare a concentrarsi anche i produttori, che devono imparare a usare anche strumenti che non sempre sono immediati: come circondarsi di attori che lavorano nel mercato dei fine wine (distributori, comunicatori...), spingere il proprio territorio di appartenenza diffondendo un modo sano di consumare vino (usare lo sport, ad esempio come leva), costruire strumenti unici che permettano di conoscere a fondo il lavoro costante di un’azienda. Il tutto, senza perdere di vista i mercati e senza illudersi che la crescita dei prezzi dei fine wine sia garantita e stabile come negli ultimi anni.
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