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SCENARI

Qualità e tipicità, non bastano più: anche la sostenibilità è un “marchio di fabbrica”

Per il 91% dei consumatori italiani è determinante negli acquisti. Ma anche il 46% dei ristoratori dà più valore ai prodotti bio e sostenibili
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Qualità, tipicità e sostenibilità “marchi di fabbrica” dell’agroalimentare italiano

Qualità e tipicità, non bastano più: come è ormai chiaro, sempre di più anche la sostenibilità è un “marchio di fabbrica”. Secondo una ricerca di Deolitte Italia, il 26% degli italiani compra alimenti di qualità, contro il 22% che acquista prodotti low-cost. Il 37% preferisce acquistare prodotti freschi, contro il 14% di prodotti elaborati. La salute e il benessere determinano, infatti, l’indirizzo di scelta: l’80% dei consumatori identifica la salute come variabile determinante per gli acquisti rispetto al prezzo e per il 91% degli intervistati, invece, è la sostenibilità. Sono le tendenze emerse da “Sol & Agrifood”, il salone dell’agroalimentare di qualità di Veronafiere, con la Fiera del biologico “B/Open”, nei giorni scorsi a Verona, anche in vista della definizione del Regolamento in materia da parte della Commissione Europea.
Un consumatore su tre nel mondo è preoccupato dai cambiamenti climatici, dato rilevabile dalla relazione di Eugenio Puddu, Consumer Product Sector Leader Deolitte Italia. Inoltre, l’ansietà maggiore dei consumatori si concentra su crisi economica e inflazione, poiché incidono fortemente sulla qualità del cibo. Ne è una conferma la disponibilità a spendere un premium price per i prodotti più sani e sicuri. Nonostante il 61% dei consumatori dichiari che il prezzo li influenzi di più della sostenibilità, il 78% degli intervistati italiani si dichiara disposto a pagare almeno il 5% in più per alimenti sostenibili, locali (79%), biologici e fair trade (76%). La scelta di prodotti sostenibili è preferita dai consumatori italiani rispetto alla media di quelli europei, dove in 7 su 10 tra sostenibilità e prezzo scelgono quest’ultimo. “Il mondo agroalimentare italiano è leader della sostenibilità nel mondo - ha dichiarato Luigi D’Eramo, Sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura - e dobbiamo essere pronti ad affrontare la competizione con altri Paesi meno sensibili su questo tema. Il valore della sostenibilità, infatti, va declinato nei suoi tre aspetti: ambientale, economico e sociale. Valori, questi, che difendiamo e vogliamo promuovere”. “Abbiamo la conferma costante del ruolo centrale che il prodotto agroalimentare italiano recita da sempre nel mondo. E Veronafiere investe costantemente per dare voce e valore ai protagonisti di questo straordinario settore produttivo”, ha sottolineato il direttore commerciale Veronafiere, Raul Barbieri. Una tendenza che si fa largo anche tra le imprese, dimostratesi pronte a investire nei report di sostenibilità, con l’agroalimentare italiano che è già pronto a raccogliere la sfida. “Anche se l’olivicoltura italiana è dominata da piccoli appezzamenti e da olivicoltori anziani - ha spiegato Gennaro Sicolo, presidente di ItaliaOlivicola - questo non significa che manca sensibilità sulla sostenibilità. Certo gli olivicoltori vanno aiutati lungo questo percorso, sono l’ultimo anello della catena, dove si scaricano i costi ma non i ricavi. Anche i consumatori vanno aiutati a comprendere i valori dietro alla parola sostenibilità, da un lato l’Unione Europea promuove la sostenibilità e la tracciabilità, dall’altra mette a rischio i produttori facendo fare un passo indietro all’obbligo di vendere l’olio extra vergine d’oliva imbottigliato, aprendo la vendita dello sfuso”. “Il più grande nemico dell’agroalimentare italiano siamo noi, purtroppo. Il Parmigiano Reggiano Dop è uno dei simboli del made in Italy, un prodotto italiano che tutto il mondo ci invidia - ha commentato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano Dop - tanto per rispondere alle recenti polemiche del “Financial Times”. Le Dop come il Parmigiano Reggiano non sono immobili: sono frutto di secoli di miglioramenti, oggi anche sulla sostenibilità ed è tutto chiaro e trasparente, perché scritto sui nostri disciplinari di produzione, alla base del progetto che ha reso il Parmigiano Reggiano uno strumento di sviluppo del territorio del quale è espressione”.
I prodotti che si dichiarano sostenibili in etichetta sono sempre di più, ma bisogna distinguere tra vero ambientalismo e greenwashing. “Prendiamo a prestito la traduzione di sostenibilità in francese: durabilità. È forse un concetto più semplice da comprendere - ha affermato Roberto Berutti, membro di gabinetto del Commissario all’Agricoltura Ue - produrre qualità dando futuro alle imprese e al pianeta. Un pensiero ricorrente del Commissario Europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, anche foriero di qualche antipatia, è che il modello agricolo italiano sia quello migliore per produrre valore (8.500 euro/ha in Italia contro 1.500 euro/ha della media europea). La Commissione Europea non è insensibile al tema della sostenibilità, ha emanato documenti importanti sul tema ed è al lavoro per regolamentare la materia. Sappiamo che il mondo del commercio alimentare è veloce, vuole novità in continuazione, ma la Commissione Europea vuole fornire un quadro normativo-giuridico certo, che riguardi tutta la filiera fino al consumatore, ma soprattutto di lungo respiro. Guardiamo al biologico. Il primo regolamento è del 1991. È stato aggiornato diverse volte ma i valori fondanti sono rimasti immutati”.
La crescita del biologico in Italia non conosce infatti limiti, sia in termini di numero di operatori certificati sia in termini di superficie agricola, avvicinandosi all’obiettivo dell’Unione Europea del 25% delle coltivazioni in bio entro il 2025 della “Farm to Fork”. “Il settore continua a crescere, ma non con la determinazione che serve per l’obiettivo che l’Italia si è data. Su mia iniziativa abbiamo voluto istituire un tavolo politico con le associazioni, per fare questo percorso insieme. Far mangiare bene i nostri figli è un momento irrinunciabile e il mondo del bio può dare certezze in questo senso. Dobbiamo aiutare le aziende, anche con la formazione, nel processo di certificazione, per evitare inciampi. La grande credibilità del prodotto italiano passa dalla qualità, ma anche dalla certificazione e dai controlli. Tanto che il 40% dei prodotti bio consumati nel Nord Europa è italiano”, ha detto ancora il Sottosegretario Luigi D’Eramo.
Secondo gli ultimi dati AssocertBio, l’Associazione degli organismi di certificazione del biologico, presentati in anteprima, l’Italia è già al 17% della superficie agricola in biologico, sale anche la superficie con un aumento di 94.000 ettari (+4,31% rispetto al 2021), mentre 91.784 sono gli operatori biologici, contro i 86.144 del 2021. “La crescita continua ma, considerando gli obiettivi che ci siamo dati come Italia nell’ambito della “Farm To Fork”, bisognerebbe portare della superficie agricola biologica alla doppia cifra - ha detto Riccardo Cozzo, presidente di AssocertBio - e questo sarà possibile solo se si metteranno in atto determinate azioni per rendere ancora più appetibile per gli operatori, un settore che attualmente necessita di interventi di semplificazione e di riduzione del carico burocratico”. Anche nei primissimi mesi del 2023, secondo l’Osservatorio AssocertBio, i dati tendenziali evidenziano una sostanziale tenuta da parte del “sistema bio”, con una crescita di 294 unità (+0,34%), mentre per quanto riguarda le superfici si registra una sostanziale tenuta con circa 6.000 ettari certificati in più (+0,27%). Calabria, Sicilia e Puglia si confermano nel periodo le regioni con il maggior numero di operatori biologici.
La ristorazione sta riprendendo quota, con un aumento del 14% del 2022 sul 2019. “Non bisogna però confondere sostenibilità con certificazione - ha affermato Riccardo Uleri di Longino & Cardenal - il ristorante è attento alla sostenibilità, ma non dà grande valore alla certificazione, compresa quella bio. Occorre quindi fare un passo avanti anche nel marketing e nella comunicazione ed evidenziare che solo una minoranza degli ingredienti utilizzati nel ristorante è bio, significa affermare che la maggioranza non lo è. Rischierebbe di diventare un autogol”. Secondo una ricerca esclusiva firmata TheFork per “B/Open” su oltre 2.500 ristoratori e consumatori, l’86% dei ristoranti si è dichiarata attenta alla sostenibilità negli ultimi due anni.
“L’uso di materie prime di qualità, sostenibili e biologiche - ha affermato Valentina Quattro (TheFork) - è elemento fondante sia per il 46% dei ristoratori che utilizzano più del 20% dei prodotti bio, che, per l’83% dei consumatori, che danno grande importanza alla qualità bio e sostenibile delle materie prime nei piatti”. Ma perché scegliere la sostenibilità per il futuro della ristorazione? Per quasi un ristoratore su due è per motivi etici ma c’è anche chi, e sono il 40%, crede che la sostenibilità sia un’opportunità per risparmiare sui costi.

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