02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024
ALLE ORIGINI DI ENOTRIA

Sono stati i Greci i primi a portare la viticoltura in Italia? La Basilicata “sfata” il mito

La rivoluzione delle “certezze viticole” negli studi sull’Alta Val d’Agri, in Lucania, dove al loro arrivo la produzione di vino era già diffusa

I Greci hanno portato in Italia la viticoltura, ma non ci si è mai posta la domanda su come avrebbero fatto. Almeno fino ad ora: una ricerca dimostra esattamente il contrario e segue le tracce dei Greci e poi dei Romani nella penetrazione dei territori appenninici, a partire dall’Alta Val d’Agri, uno dei terminali delle esplorazioni greche e poi della colonizzazione romana dell’entroterra lucano, in Basilicata - che vanta 3.000 di storia enoica - dove al loro arrivo la viticoltura era già una pratica diffusa, ricostruita nel suo terroir (ambiente, uomo e varietà), alla ricerca proprio di quelle uve e di quei vini che poi portano con sé in madrepatria e di come la diffusione della vite lungo la Penisola, e poi in Francia, abbia percorso strade diverse da quelle che, sinora, abbiamo dato per certe. Proseguono in questa direzione gli studi su “L’Enotria, Grumentum e i vini dell’Alta Val d’Agri”, anticipati nel volume edito dall’Istituto Geografico Militare “Fra le montagne di Enotria. Forma antica del territorio e paesaggio viticolo in Alta Val d’Agri” dal curatore Stefano Del Lungo, archeologo, ricercatore Cnr Ispc e responsabile del gruppo di ricerca misto (Cnr, Crea e professionisti dei settori archeologico e archivistico), e che saranno illustrati, il 9 e il 10 giugno, nel convegno “Alla scoperta dell’Alta Val D’agri. Terra di origine di alcuni vitigni che crediamo essere arrivati in Italia dalla Grecia (e vi diremo perché non è così)”, promosso dal Consorzio dei vini della Doc Terre dell’Alta Val d’Agri, all’Hotel dell’Arpa a Viggiano.
Un invito a conoscere un territorio quasi sconosciuto della nostra Penisola, ma anche e soprattutto a scoprire le origini della vite, dei principali vitigni italiani e anche di qualche francese, in una vera e proprio “rivoluzione scientifica” sull’Enotria. E c’è voluto un team di tutto rispetto per raggiungere risultati così importanti, sfatando miti e certezze viticole, e dargli solidità in una ricerca che combina la genetica storica all’archeologia attraverso le scienze biologiche (il Dna delle varietà), agronomiche (le qualità ambientali e i caratteri ampelografici) e dell’Antichità (la topografia antica delle vallate fluviali, la biodiversità vegetale resa in terracotta e metallo, le cantine in grotta, la documentazione d’archivio a corredo): da Antonio Affuso, archeologo specializzato in Preistoria, a Vittorio Alba, Angelo Raffaele Caputo e Pasquale Cirigliano, ricercatori agronomi del Crea (Ve), da Teodora Cicchelli e Annarita Sannazzaro, archeologhe pecializzate sull’Età Classica, a Marica Gasparro, ricercatrice biologa del Crea (Ve), da Dorangela Graziano, laureata in Gestione e Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, ad Agata Maggio, demoetnoantropologa e biblioteconoma del Cnr Ispc, da Francesco Mazzone, enologo del Crea (Ve), ad Addolorata Preite, archeologa, specializzata in Preistoria e Protostoria, a Sabino Roccotelli, perito agrario (viticoltura ed enologia) del Crea (Ve).

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli