Se il 2021 aveva fatto registrare numeri estremamente positivi, nonostante problematiche importanti, i dati dell’“Annual Report” di Valoritalia 2022, presentato ieri a Roma nella cornice di Casina Valadier, segna un evidente cambio di scenario, mostrando un rallentamento che per il settore del vino italiano si attesta intorno al -3,8%. In tal senso pesa il conflitto russo-ucraino, con il suo corollario di crisi energetica, che ha evidentemente imposto un rallentamento dei flussi economici in tutti i settori. “Il settore del vino, come ogni altro settore economico, sta soffrendo un quinquennio a dir poco complicato - commenta a WineNews il presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio - il 2019 ha visto un vero e proprio exploit dell’imbottigliato, con una crescita del 20%, il 2020 è stato l’anno della pandemia, che ha sconvolto l’economia, il 2021 ha segnato una piccola ripresa, e dal febbraio 2022 la guerra in Ucraina ci ha riportati di nuovo in una situazione difficile, che ha precipitato il mondo in una economia di guerra, tra incertezza e speculazione, materie prime che scarseggiano e inflazione”.
“A maggio i numeri non sono entusiasmanti, con il -4% del vino certificato su maggio 2022, ma fa comunque ben sperare, perché il calo di altri comparti è sensibilmente peggiore - riprende il presidente Valoritalia Liantonio - il vino è un comparto di aziende ben organizzate, massa critica e denominazioni sane. Su 218 denominazioni controllate da Valoritalia, le prime 20 rappresentano l’83% del vino italiano di qualità, le prime 40 il 93%: c’è una concentrazione importante, e solo una Doc tocca il miliardo di fatturato, il Prosecco, e altre due si posizionano tra i 500 milioni ed il miliardo di euro, mentre oltre 130 denominazioni non raggiungono il milione. C’è bisogno di riorganizzare il sistema, aggregando e facendo massa critica per rendere più solido e vincente il comparto vino”.
La ricerca evidenzia quindi un dato fondamentale: nonostante le difficoltà, circa un terzo delle denominazioni tra quelle certificate Valoritalia ha comunque registrato una crescita dei volumi con le significative performance del “Sistema Prosecco”, formato dalle Dop Prosecco, Asolo Prosecco e Conegliano Valdobbiadene. Ottimi anche i comportamenti del Franciacorta, dell’Asti e Moscato d’Asti, dell’Alta Langa, del Collio, del Lugana, dell’Oltrepò Pavese, del Vino Nobile di Montepulciano, del Frascati e del Castel del Monte. Un’altra trentina di Denominazioni ha registrato cali contenuti entro la soglia del 5%, alcuni dei quali di natura fisiologica.
“Il nostro “Annual Report” è ormai diventato un punto di riferimento, la fotografia nitida di un sistema che rappresenta un fiore all’occhiello del made in Italy - aggiunge il dg Valoritalia, Giuseppe Liberatore - parliamo della certificazione di 47 Docg, 184 Doc e 37 Igt. Una massa critica che rappresenta il 56% della produzione nazionale Do, con 5.000 tipologie di vino per una produzione certificata che nel 2022 ha riguardato oltre 21 milioni di ettolitri con quasi 2 miliardi di bottiglie certificate, 1.353.930.245 di contrassegni di Stato gestiti, per un valore complessivo che supera ampiamente 9 miliardi di euro, e che impiega circa 95.000 operatori inseriti nel sistema dei controlli. E possiamo dire con orgoglio che il nostro staff, che conta 223 collaboratori e 1.250 consulenti qualificati, distribuiti in 37 sedi presenti in 16 Regioni, ha collaborato alla realizzazione di quasi 800.000 movimenti di prodotto registrati e tracciati che ci offrono un quadro preciso del sistema vino a Denominazione di Origine del nostro Paese”.
Valoritalia, però, è anche un ente di certificazione della sostenibilità, ambientale e sempre di più etica. “Abbiamo iniziato con la certificazione ambientale, bio o integrata, ma oggi il concetto di sostenibilità passa per tre assi: ambientale, etico-sociale ed economica - ricorda Liberatore a WineNews - dal 2016 lavoriamo in questa direzione, dando contenuto ad un termine spesso abusato, e centinaia di aziende sono già certificate Equalitas. Quasi il 18% dei vigneti Dop sono certificati Equalitas, che non è solo una certificazione aziendale, ma anche territoriale, e presto al Nobile di Montepulciano si aggiungeranno altre denominazioni, come il Prosecco. Per quanto riguarda lo standard unico del Ministero, iniziato con il vino, ci si è fermati, ma spero che il percorso possa ripartire, perché nell’arco di qualche anno un’azienda non sostenibile non potrà stare sul mercato. Il rating di sostenibilità delle aziende, nelle intenzioni della BCE, sarà fondamentale per accedere ai servizi bancari”, conclude il dg Valoritalia.
Tornando ai numeri, emergono anche i principali punti di forza e di debolezza della viticoltura italiana di qualità. Nella prima categoria rientra, come principale fattore distintivo, l’ampiezza quantitativa della denominazione di origine e come le dimensioni siano in grado di garantire risultati performanti grazie alla capacità di affrontare i mercati con mezzi e continuità. Viceversa, il limite maggiore del nostro sistema è costituito proprio dalla frammentazione delle Do, come raccontato dal presidente Francesco Liantonio: le prime 20 Do coprono l’84% dell’imbottigliato e solo 27 Do su 218 commercializzano volumi annui superiori ai 10 milioni di bottiglie. Tutto questo, ha una sua precisa rilevanza soprattutto quando ci si confronta sui mercati esteri.
A proposito di internazionalità, l’approfondimento di Nomisma per Valoritalia in questo 2023, oltre al mercato interno, ha riguardato un focus sul confronto tra i consumatori italiani e quelli del Regno Unito, con due indagini parallele che hanno coinvolto 1.000 consumatori di vino per ognuno dei due mercati. Obiettivo della survey è stato quello di analizzare il ruolo delle certificazioni Do, Ig, bio, sostenibilità nel vino e altri nuovi trend di consumo tra i consumatori dei due Paesi. “È sempre interessante analizzare i criteri di scelta dei consumatori di diversi Paesi - spiega Denis Pantini, responsabile Agroalimentare Wine Monitor Nomisma - basti vedere come la presenza del marchio di denominazione sia rilevante per il 62% dei consumatori italiani contro il 36% in Uk; al tempo stesso, la differenza si assottiglia quando si parla di marchio Bio o di sostenibilità ambientale (27% in Italia e 29% in Uk). Fondamentale notare come l’80% dei consumatori italiani e il 60% di quelli del Regno Unito vorrebbero avere maggiori informazioni sulle certificazioni”.
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