“La grande voglia di varietà da parte dei turisti, ma anche di vivere gli spazi naturali ed aperti e al contempo enogastronomici: come ci mostrano i dati della European Travel Commission, gli europei, anche nei periodi invernali, mettono al vertice questi due aspetti tra gli stimoli che possano invogliarli ad intraprendere il viaggio, ad ulteriore conferma della loro importanza, ormai, come motivazione di viaggio per dodici mesi all’anno”. Sono questi per Roberta Garibaldi, autrice del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia”, i principali trend del turismo enogastronomico nel 2024, un asset strategico per il Belpaese e per i territori del vino e del cibo, che muove, in media e secondo le stime, 14 milioni di turisti per un fatturato di 2,5 miliardi di euro.
Un settore del quale, a WineNews, traccia anche il bilancio 2023. “Il 2023 doveva essere per il turismo enogastronomico l’anno del sorpasso sul 2019, considerando che il 2021 è stato caratterizzato nei primi mesi ancora dall’emergenza Covid e che quello appena finito è stato il primo anno in cui è tornata la tranquillità di movimento per tutti e 12 i mesi - spiega la vice presidente del Comitato per il Turismo dell’Ocse e presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico - è stato un anno importante per molti territori, altri hanno un po’ sofferto, per cui l’andamento è stato a macchia di leopardo. C’è stata una forte crescita dei turisti internazionali e quindi i territori più proiettati ad accoglierli hanno avuto dati molto positivi, ma c’è stata anche una quota di italiani ed europei che non ha potuto viaggiare per l’aumento dei costi, dell’inflazione e delle difficoltà conseguenti sul lato economico”. Per la professoressa di Tourism Management dell’Università di Bergamo, il focus per il futuro del settore “deve essere spostato sul tema delle risorse umane, asset strategico del nostro turismo, nel quale si dovrebbero meglio definire le figure professionali, puntare a valorizzare i talenti, ad attrarli verso il settore e ad avviarli a dei percorsi formativi adeguati. C’è molto dinamismo da questo punto di vista, e ci sono anche molte Università che si stanno attivando su questi contenuti e questo è veramente positivo. Sottolineo che serve chiarezza su manager e figure diverse da coloro che fanno ed organizzano le esperienze enogastronomiche, e che, in alcuni casi, a seconda delle aziende, potrebbero occuparsi della parte strategica e progettuale. Ciò che serve è una rinnovata e maggiore conoscenza di questi ruoli, delle competenze e dei percorsi formativi più adeguati. Così come sarebbe interessante cominciare a pensare ad una guida specializzata per compiere questa tipologia di percorsi e che possa abbracciare anche coloro che abbiano conoscenze e competenze integrate, dall’agraria al turismo per esempio, tali da poter accompagnare i turisti tra cantine, oleifici, frantoi e così via. Sarebbe bello veder nascere questa opportunità attraverso una nuova figura professionale nel prossimo futuro”.
Una nuova figura professionale che potrebbe accompagnare i turisti anche nei Musei del Cibo e del Vino che sempre più persone vorrebbero trovare nei territori che visitano, perché, spiega la presidente Comitato Scientifico della Fondazione Muvin, il futuro Museo Internazionale del Vino di Verona, “c’è sempre più voglia di cultura e di conoscere: il viaggio enogastronomico è visto, dalla maggior parte degli italiani, come approfondimento culturale. Quindi, i musei del gusto e del vino che espletano le loro funzioni in hub, ad oggi, ci indicano questi luoghi come congeniali per fare questo tipo di approfondimenti. È così che questa sete di sapere potrebbe essere soddisfatta non più soltanto dagli chef nei ristoranti o dai produttori in cantina, ad esempio, ma da personale specializzato che si potrebbe trovare anche nei musei e che possa guidarci.
Un approfondimento culturale che gli italiani vorrebbero avere sia nel loro luogo di residenza che trovare nella meta dei propri viaggi. Ma non c’è un modello assoluto: abbiamo appena organizzato a Verona una conferenza internazionale sui musei del vino e abbiamo proprio visto la loro varietà, dal Muvit, il Museo del Vino della Fondazione Lungarotti nato pionieristicamente mezzo secolo fa a Torgiano, in Umbria, al piccolo Museo del Vino di Berchidda, in Sardegna, che si connette con la comunità locale e offre esperienze diversificate come quelle con la musica di Paolo Fresu, dal Museo della Cultura del Vino di Vivanco a Briones, in Spagna, che nasce grazie ad una famiglia del vino che colleziona opere d’arte e che, quindi, vanta Chagall e Mirò, alla Cité du Vin di Bordeaux con il suo impianto molto più multimediale e immersivo con una parte di location importante, dal Museo Wow-World of Wine a Vila Nova de Gaia a Porto dove ci sono sette musei diversi, dal vino alla cioccolata, con molte installazioni che strizzano l’occhio ai più giovani, al Castello di Grinzane Cavour nelle Langhe che ha creato un percorso museale all’aperto nei vigneti. Questa grande varietà di modelli dimostra la ricchezza di questo settore che oggi e per il futuro è più che mai interessante”.
Focus - La ristorazione è la principale fonte di attrazione per il turista, a prescindere dalla sua nazionalità, ma gli italiani non prediligono il ristorante gourmet
La ristorazione è la principale fonte di attrazione per il turista, a prescindere dalla sua nazionalità. Tuttavia, dal confronto tra i dati presenti nel Rapporto sul Turismo Enogastronomico in Italia” 2023, curato da Roberta Garibaldi e quelli Food Travel Monitor (World Food Travel Association), emergono varie differenze nell’approccio all’esperienza tra italiani, statunitensi, francesi, britannici, canadesi, messicani e cinesi.
“Oggi il turista ricerca autenticità ed innovazione, desidera sperimentare appieno l’enogastronomia del luogo visitato - afferma Roberta Garibaldi - l’alto interesse degli stranieri verso ristorazione, specialmente quella gourmet, è una grande opportunità per il nostro Paese, che può vantare eccellenze e riconoscibilità da Nord a Sud, soprattutto in un contesto di crescita dei flussi internazionali”.
In particolare, l’Italia vede la percentuale più bassa di turisti che hanno affermato di aver provato, nell’ultimo biennio, un’esperienza gastronomica in un ristorante gourmet: lo ha fatto solo il 16% del campione intervistato, contro il 46% degli americani, il 42% dei francesi e il 35% dei britannici, ma anche il 41% dei cinesi e il 47% dei canadesi. Il dato più alto in assoluto riguarda però i messicani, che nel 49% dei casi hanno scelto l’esperienza gourmet.
Eppure, il 74% dei nostri connazionali - la percentuale più alta in assoluto, davanti al Canada con il 64% e alla Cina con il 63% - ha scelto di trascorrere in vacanza almeno una serata al ristorante per provare un’esperienza indimenticabile, ma evidentemente la scelta è andata su un locale di impronta più tradizionale e meno sofisticata.
Del resto, gli italiani in vacanza sono particolarmente predisposti a visitare mercati contadini e fiere agricole, mentre solo il 30% dei turisti Usa e il 24% dei britannici sembra essere contraddistinto dalla stessa passione. Un’altra attrazione irresistibile per il turista italiano sembra essere quella del food festival, scelto dal 35% degli intervistati e anche in questo caso la percentuale tricolore è la più alta nel confronto internazionale: tra i francesi, per esempio, solo il 13% vi ha partecipato e anche tra i britannici la percentuale è nettamente inferiore (20%).
Lo street food, invece, piace ma non sfonda tra gli italiani: l’esperienza gastronomica al food truck o in un chiosco-bancarella è stata scelta dal 29% degli intervistati contro il 44% dei nordamericani (Usa e Canada evidenziano la stessa percentuale) e il 45% dei messicani; ma anche cinesi (31%), britannici (41%) e francesi (34%) puntano sui cibi di strada più di quanto lo facciano i nostri connazionali.
La visita ad un’azienda agricola è un’esperienza provata dal 28% degli italiani in vacanza. Il risultato è più alto della media ma non arriva al picco registrato tra i cinesi che, in questo caso, svettano nella graduatoria internazionale con il 40% delle risposte affermative, il doppio rispetto agli americani e dei canadesi (20%) e quasi il triplo rispetto ai britannici (14%). Infine, la partecipazione alle lezioni di cucina: pochi sono gli italiani che vi partecipano nei loro viaggi in Italia e all’estero (6%). Valori bassi anche tra le altre nazionalità, con il picco minore tra i turisti Usa (8%) e massimo tra francesi e cinesi (12%).
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