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Panorama

Dopo che la trasmissione Report ha messo (inutilmente) nel mirino come si producono le bottiglie che finiscono sulle nostre tavole, c’è stata una levata di scudi. Ma il sistema delle cantine va approfondito e riformato. Trentasette anni dopo lo scandalo del metanolo le cantine italiane ormai aduse a ricchi premi e cotillon e a una comunicazione che fa sì - opinione acuta di un eccellente produttore umbro - che “sul vino ci mangiano tutti tranne quelli che lo faticano”, scoprono di essere rimaste prigioniere di quel pregiudizio. Hanno ricevuto gratificanti grappoli d’oro, bicchieri, oscar e si sentono appagate, subiscono e al tempo stesso vellicano le “enoFerragni”, si affidano più alla narrazione che ai numeri, più al compromesso politico che al protagonismo economico e così di fronte a una telecamera meno compiacente appaiano come il re di Christian Andersen: nude. Report, la trasmissione d’approfondimento di Rai3 condotta da Sigfrido Ranucci, ha rimesso le lancette dell’orologio al 1986 con una puntata dal titolo più che eloquente: Il piccolo chimico. La tesi? Dimostrare che il vino non si fa in vigna e che fra intrugli più o meno leciti, commerci più o meno ammessi, pratiche truffaldine come la vinificazione dell’uva da tavola, anche roba imbevibile può diventare una Doc. Non siamo ai livelli dei fratelli Ciravegna degli anni Ottanta, ma per l’immagine è egualmente devastante. Sconcertante è però la reazione: tutti a dire non è vero, è una tesi precostituita, i disciplinari di Doc e Docg sono la massima garanzia per il consumatore. Nessuno che abbia detto: il nostro sistema va riformato, ci siamo illusi di essere potenti e contiamo pochissimo. L’unico è stato il professor Attilio Scienza, insegna viticoltura alla Statale di Milano, uomo di profonda cultura, presidente del Comitato Doc, che da tempo va affermando: la reputazione del vino parte dal valore del territorio che lo genera. Sottinteso: abbiamo troppe Doc. Va rifondato il sistema: vanno introdotti í vitigni resistenti per eliminare la chimica e adeguarsi al cambiamento climatico. Sostiene Scienza, come riferisce il sito specializzato Winenews, che “Nel tempo abbiamo fatto confusione tra qualità innata, quella di un ambiente viticolo, di un terroir, e la qualità acquisita che si riferisce alla trasformazione in cantina. Abbiamo dato più importanza a quest'ultima sbagliando”. C’è un altro aspetto. Lo sottolinea da anni Sandro Boscaini, mister Amarone, presidente delle cantine Masi - le sole quotate in Borsa - e già presidente di Federvini: “Va difeso il valore economico del vino e delle cantine, il vino deve essere economicamente sostenibile e va venduto a valore”. Forse questa era la risposta da dare a Report. Invece il ministro agricolo Francesco Lollobrigida apostrofa “abbiamo un nemico in casa”, il vice presidente del Senato Gian Marco Centinaio, responsabile agricoltura e turismo della Lega, commenta: “Report continua la sua campagna denigratoria contro le eccellenze agroalimentari italiane”. Lamberto Frescobaldi, uno dei più accreditati produttori toscani e presidente dell’Unione italiana vini, che prima si fa intervistare e poi dice: “Hanno travisato, è stata un’occasione persa di servizio pubblico, noi diamo lavoro a un milione di persone. Come si fa ad affidare l’informazione a un sedicente esperto di vino?”. Che: sia detto per inciso - ha messo insieme bentonite e albumina, lieviti e mosto concentrato in una zuppa priva di qualsiasi senso tecnico come rileva il presidente dell’Assoenologi Riccardo Cotarella, uno dei massimi winemaker europei che aggiunge “noi non siamo affatto dei piccoli chimici”. Sigrifido Ranucci al Gambero Rosso, il magazine di una delle guide enologiche più “ascoltate”, ha spiegato che l’inchiesta è partita perché “due estati fa ho provato a fare il vino a partire da un pergolato di uva bellone che ho in campagna, ma non è venuto fuori un buon prodotto. Allora alcuni contadini della zona mi hanno spiegato che non basta avere l’uva, ma ci vogliono una serie di correttivi: dai fermenti alla bentonite. E da lì mi son chiesto se davvero chi fa vino usasse tutta questa roba”. Annuncia una seconda puntata e sostiene che di vino in Italia se ne fa troppo, che forse i vini cosiddetti biodinamici sono più accettabili e che ci vogliono più informazioni in etichetta. C’è una consonanza con l’Unione europea che vuole un “Qr code” ed etichette allarmistiche e coltiva il desiderio di veder tramontare il vino come prodotto di punta del nostro agroalimentare. Che poi questo vada a vantaggio di altri è un effetto collaterale. La Red Bull, per esemplo, da sola fattura quanto tutto il vino italiano, ma nessuno gli ha mai chiesto conto di che cosa c’è dentro per mettere le ali. C’è forse da far posto alla birra: la belga Abinbev fattura da sola 56 miliardi di euro. Con il vino bisogna sommare i fatturati di Francia e Italia e mezza Spagna. Di inchieste su cosa questi signori danno da bere non se ne sono viste. Una trasmissione come “II piccolo chimico” sarebbe impossibile in Francia, perché lì il vino conta davvero. Anche se sta vivendo una crisi acuta: 200 milioni di euro di contribuiti sono stati erogati a Bordeaux per sradicare i vigneti, in Borgogna c’è la distillazione obbligatoria, lo Champagne ha perso il 7 per cento: arriva a malapena a 300 milioni di bottiglie vendute e il fatturato è inchiodato a sei miliardi di euro. Per le cantine italiane questa è una pessima annata: raccolta scarsissima, export a picco, consumi che arretrano, botti stracolme (hanno stoccato oltre 55 milioni di ettolitri pari a sei miliardi di bottiglie) . Intanto la generazione Z, con il favore dell’Europa, dell’Oms e delle multinazionali della bibita, si butta sulle lattine energetiche e quando decide di “sballare” si attacca ai superalcolici. Per i più giovani il vino non esiste. La vendemmia si è chiusa - stima Assoenologi - con un meno 24 per cento: 38 milioni di ettolitri al massimo. L’Abruzzo ha perso il 60 per cento del prodotto, la Sicilia ha la metà del vino, la Toscana ne ha perso un terzo. Preoccupa l’export: lo sfuso è crollato di 40 punti, in America che è il nostro primo mercato abbiamo perso il 12 per cento a volume il 6 per cento di fatturato con gli spumanti crollati di 16 punti. Un miliardo di euro è stato messo insieme a stento con la piazza di New York, la più importante in assoluto, che ha perso quasi il 20 per cento. Crollato anche il Canada. Nel mercato extra Ue abbiamo fatto meno 9 in volume, e meno 6 in valore. Reggono Germania, Gran Bretagna e Russia, ma il traguardo dei sette miliardi di export del 2022 è irraggiungibile. Il mercato interno ha perso circa quattro punti e ormai siamo sotto 30 litri a testa rispetto agli 80 di trent’anni fa. A soffrire sono le piccole cantine. Al contrario il Livex (registra le quotazioni dei grandi vini) con il Brunello di Montalcino di Argiano nominato miglior vino del mondo 2023 da Wine Spectator, il più influente magazine americano, segnala che le bottiglie italiane sono quelle che rendono di più. Antinori resta a giudizio di tutti la più bella cantina del mondo con le sue architetture d’arte al Bargino di San Casciano in Val di Pesa e con Solaia, Tignanello, Guado al Tasso (pensando a Bolgheri) che sono vini icona. Così come il Sassicaia, chiamato in causa da Report forse con qualche eccesso di fantasia, è e resta il vino attraverso cui Giacomo Tachis ridette dignità mondiale alle nostre cantine dopo l’etanolo. Eppure - al contrario che in Francia - questi campioni assoluti non riescono a riverberare autorevolezza al sistema vino che è fatto ancora di 250 mila imprese, che coltivano 550 mila ettari (sono in contrazione da vent'anni) e che si sono illuse di essere inattaccabili. Così non è. Anche se gli appunti sono fuori misura. Il mosto concentrato rettificato su cui Report mena scandalo è legale e serve ad alzare il grado (all’estero usano direttamente lo zucchero), ma oggi i vignaioli date le alte temperature hanno il problema opposto. La bentonite si usa fin dai tempi dei romani: è polvere di alluminio e ferro, ma oggi con le “criomacerazioni” non serve più e comprare le uve con un mercato che non tira sarebbe sconveniente. È un vino amaro, ma vale comunque 14 miliardi di euro. Tocca alle cantine proteggerlo e comunicarlo: aspettando la seconda puntata.

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