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Italia Oggi

Barolo e Barbaresco su di valore … Stabilii volumi produttivi. Ma i giovani oggi bevono meno… arolo e Barbaresco resistono alla crisi dei vini rossi. Almeno questo rivelano i dati sugli imbottigliamenti del 2023, comunicati nel corso di Grandi Langhe, la rassegna delle produzioni vinicole di Langhe e di Roero appena conclusa a Torino. L’anno scorso il Consorzio ha stimato gli imbottigliamenti di Barolo al -2% e quelli di Barbaresco in crescita del 3%. Nel 2022 il Barolo ha registrato imbottigliamenti per 14,2mln e il Barbaresco per 4,4 min. “Per il Barolo si tratta di variazioni minime”, ha osservato il presidente del consorzio, Matteo Ascheri, “che arrivano dopo un biennio in cui abbiamo venduto l’intera produzione”. Il Barolo fa comunque meglio di Bolgheri (-11% degli imbottigliamenti) e dell’Amarone (-14% il dato pre-chiusura) ed è in linea con il Brunello di Montalcino (-1,4%). Il valore alla produzione di questi vini è, però, cresciuto: nel 2023, secondo Ismea, il Barolo è rimbalzato del 5% a 910 euro/ettolitro, il Barbaresco di quasi il 7% a 700 euro e l’Amarone del 14% a 1.100 euro. I dati dello stock rilevato dal Masaf segnalano, allo scorso 31 dicembre, per il Barolo 75,7 mln di bottiglie (+7,5%) e per il Barbaresco 21,8 mln (+7%). “I nostri vini hanno mostrato maggiore stabilità”, ha aggiunto Ascheri, nel corso del convegno inaugurale Changes. “Spero che non si parli più di crescita dei volumi, perché il dato strutturale è che i giovani bevono meno vino. Dovremo puntare sul valore”. Massimo Romani, ceo di Argea (Clessidra), il fondo di private equity che, fra l’altro, ha rilevato le attività piemontesi di Mondo del vino, conviene che “i giovani sono meno interessati al vino, ma nulla vieta che fra qualche anno la tendenza cambi”. Da uno studio dell’Università Cattolica di Brescia emerge che i giovani vignaioli delle Langhe distinguono gli investitori esterni fra fondi di private equity e grandi gruppi, riconoscendo che sono portatori di progetti industriali e capitali. I senior, invece, li percepiscono solo come speculatori. Nei fatti, il fenomeno degli investitori esterni nelle Langhe è contenuto rispetto alla Toscana: negli ultimi anni, Rampari ha rilevato Enrico Serafino, poi ceduta all’americano Krause che ha acquisito anche Vietti; Rossi Cairo ha messo il cappello su Cascina Cucco, Piccini su Porta Rossa e Renzo Rosso su Saffirio, per citarne alcune. “Il Consorzio non può interferire nelle scelte dei proprietari”, ha detto Ascheri. “Lo studio della Cattolica vuole sollecitare l’orgoglio dei produttori vitivinicoli a difendere un territorio unico, familiare e identitario”. Talmente unico che gli investitori hanno fatto schizzare un ettaro di Barolo fino a 3-4 milioni di euro. “I preconcetti non fanno bene”, ha sottolineato Romani: “Il nostro modello è quello di un mix fra investimenti esterni e coinvolgimento degli ex proprietari. E non sempre si vende per passaggi generazionali complicati o difficoltà finanziarie: a volte si punta a un progetto ambizioso o si vuole limitare l’apporto finanziario della famiglia nell’impresa”. Infine, le modifiche del disciplinare avviato dal cda del Consorzio. “Non c’è nessuna bagarre”, ha sgombrato il campo Ascheri: “Il Consorzio caldeggia soltanto la limitazione della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco. Le altre modifiche riguardano l’interscambiabilità Barolo-Barbaresco e la cancellazione del divieto di impiantare vigneti di Nebbiolo sulle colline esposte al nord motivata dal cambiamento climatico: si esprimano i soci”.

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