Bene, ma non benissimo per l’export made in Italy: se il settore dei prodotti alimentari e delle bevande risulta tra i più vivaci in termini di dinamica degli ultimi 5 anni, con una crescita nel 2023 di un ulteriore 5,8% (+7% gli alimentari e +2,1% le bevande, nonostante la leggera flessione delle vendite di vino), in generale l’export italiano nel 2023 è salito solo dello 0,2%. Sono questi i dati contenuti nel rapporto “L’Italia nell’economia internazionale” a cura dell’Istituto Commercio Estero (Ice) 2023-2024.
La crescita del Pil italiano nel 2023 è stata sostenuta soprattutto da investimenti e consumi, ma un lieve contributo positivo è venuto anche dalla domanda estera netta: le esportazioni di beni e servizi sono aumentate dello 0,2%, mentre le importazioni sono scese dello 0,5%. Una dinamica indebolita dalla situazione globale schiacciata dalle tensioni geopolitiche: dopo il deciso rimbalzo post-pandemia, nel 2023 il commercio internazionale di merci è calato dello 0,6% rispetto all'anno precedente. La dinamica delle esportazioni, che era stata un fattore importante della ripresa dalla crisi pandemica, ha risentito negativamente nel 2023 sia del brusco rallentamento del commercio mondiale sia della perdita di competitività di prezzo dei prodotti italiani, dovuta all'apprezzamento reale dell’euro, si legge nel rapporto.
Il contributo alla crescita del settore alimentare e bevande (pari al 5,7 su 5,8 punti percentuali) si deve pressoché per intero alle esportazioni verso l’Europa, cui è destinato il 70% del totale settoriale e da cui proviene l’80% dei nostri acquisti. Il fatturato esportato ha superato complessivamente i 55 miliardi; il surplus commerciale (12,1 miliardi di euro) compensa quasi per intero il disavanzo determinato dagli acquisti all’estero di materie prime agricole.
Un altro dato importante è quelle del valore aggiunto, che si lega alla “frammentazione” internazionale dei processi produttivi: a partire dagli anni Novanta, infatti, si è complicata la tradizionale distinzione tra Paesi produttori ed esportatori da un lato, e Paesi importatori e consumatori dall’altro. Un Paese che esporti uno specifico bene finale, per esempio, potrebbe aver dato un contributo limitato alla sua produzione in termini di valore aggiunto, se confrontato con i Paesi fornitori degli input intermedi.
Per misurare l’interscambio commerciale in termini di valore aggiunto, e non più in termini di esportazioni e importazioni lorde, sono disponibili varie fonti statistiche, tra le quali i dati elaborati dall’Ocse. Ciò consente di evidenziare il contributo alle esportazioni del valore aggiunto interno (generato dalle imprese aventi sede nel Paese considerato, per i rispettivi settori) e di quello estero (determinato da input alla produzione provenienti da altre economie). In media, il 79,3% del valore aggiunto totale delle esportazioni italiane è di origine interna; quello incorporato dall’industria manifatturiera, invece, si attesta al 73,5%. Per quanto riguarda le esportazioni dell’agricoltura e silvicoltura e del settore alimentare, bevande e tabacco, queste registrano un significativo apporto di valore aggiunto interno (rispettivamente 87,3% e 79,7%), strettamente legato alla disponibilità locale di materie prime, la cui qualità e origine vengono garantite dalla filiera agricola italiana.
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