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ARCHEOLOGIA

A San Gimignano, nel territorio della Vernaccia, scoperta una cantina romana di oltre 1.800 anni fa

Faceva parte della grande villa di Aiano, oltre 10.000 metri quadrati, e veniva utilizzata per la produzione e la conservazione del vino
ARCHEOLOGIA, Romani, SAN GIMIGNANO, Italia
I Romani producevano vino a San Gimignano oltre 1.800 anni fa

L’ennesima testimonianza dell’amore dei Romani per il vino, oltre che della profonda competenza con cui lo producevano: a San Gimignano, nel territorio della Vernaccia - evidentemente già vocato da secoli - è stata scoperta, durante una campagna di scavi archeologici, una cantina di oltre 1.800 anni fa. La location è la villa romana di Aiano, risalente tra il IV e il VII secolo d.C.: un edificio di grande estensione, circa 10.000 metri quadrati, di cui riportati alla luce solo la metà, grazie agli studi portati avanti dal 2005 dall’Université Catholique de Louvain (Belgio) in collaborazione con l’amministrazione comunale di San Gimignano, sotto la direzione scientifica di Marco Cavalieri, ordinario di Archeologia romana e Antichità italiche presso l’ateneo belga. L’edificio era adibito sia alla produzione, sia alla conservazione del vino.
“Coordinando una ventina di studenti e ricercatori belgi ed italiani, la campagna ha di fatto rimesso in luce la cella vinaria della villa, ambiente dove si produceva e conservava il vino, fonte prima d’esistenza della villa in Valdelsa - spiega il professor Marco Cavalieri - all’interno di un’ampia sala di circa 30 metri per 9, scandita da sei pilastri assiali che delimitano due navate, al momento la stanza tra le più vaste della villa, sono stati rinvenuti e parzialmente indagati una trentina di “dolia defossa” (grosse giare interrate per la conservazione del vino). In base alla loro posizione e alle dimensioni della stanza, è possibile supporre che in origine ne esistessero una cinquantina disposti su quattro file, dato che fa intendere una produzione non solo per consumo locale”.
Tra il 2023 e 2024 sono anche state scoperte due vasche rettangolari (“lacus”) orientate in senso nord-sud lungo il muro occidentale della stanza. Questi bacini, con pareti interne rivestite con intonaco idraulico, presentano sul fondo una cuvette (bacile per la raccolta della feccia) e dispongono di scalette per la discesa sul fondo. “Servivano per la fermentazione del mosto - spiega ancora Cavalieri - mentre la presenza del torchio è stata ipotizzata sulla base delle tracce ancora visibili. Analisi chimiche effettuate su campioni prelevati all’interno dei doli hanno consentito di confermare che i recipienti erano rivestiti all’interno di resina di pino e pece, sostanze usate nella produzione antica del vino”.

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