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COME UN “LOCKDOWN”

Peste suina africana, arriva l’ordinanza per contrastare il virus: tanti allevatori in ginocchio

Il Commissario Filippini ha puntato su misure più drastiche contro il fenomeno. Le preoccupazioni di Coldiretti, Cia-Agricoltori e Confagricoltura
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I cinghiali nel “mirino” per i casi di Peste suina africana in Italia

In Italia c’è un problema che sta colpendo, in alcune zone del Belpaese, animali come maiali e cinghiali, ma che ha anche rilevanti conseguenze per gli allevatori che vedono a rischio la propria sopravvivenza e che, non a caso, hanno già fatto sentire la propria voce. La peste suina africana è un fenomeno reale con i focolai che si sono accesi nel Nord Italia e in particolare in tre regioni, Lombardia in primis, ma anche Piemonte ed Emilia-Romagna. Si tratta di un virus che non è pericoloso per l’uomo, ma che ha una forte circolazione negli allevamenti. Si parla di oltre 50.000 capi abbattuti, numero destinato a salire, tanto che il Commissario straordinario alla Peste suina africana, Giovanni Filippini, ha deciso di attuare misure più drastiche per contrastare la diffusione dell’infezione del virus negli allevamenti delle regioni interessate, puntando ad arginare i movimenti incontrollati di persone e mezzi e cercando di ribaltare uno scenario che vede la diffusione del virus “massimamente favorita dalla mancanza o carenza dei requisiti di biosicurezza degli allevamenti sia strutturali che gestionali”. Misure messe nero su bianco attraverso un’ordinanza, già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, che si può leggere anche come un “lockdown” per le stalle nelle regioni interessate: non a caso, tra le varie disposizioni, prevede il blocco, in entrata e in uscita degli animali (ad eccezione della macellazione che dovrà avvenire a determinate condizioni); il blocco delle movimentazioni di tutto il personale e dei mezzi, visto che negli allevamenti suini situati nelle zone di restrizione in Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna, è vietato l’accesso di ogni automezzo ad eccezione di quelli destinati a trasportare mangimi, carcasse e liquami e di quelli destinati al trasporto in deroga degli animali verso il macello (che dovranno rispettare determinate condizioni), ma anche di qualsiasi persona non direttamente legata alla gestione quotidiana degli animali. Vietato, oltre all’ingresso di cani e animali da compagnia, inoltre, qualsiasi manutenzione o lavoro ordinario che non siano strettamente connessi ad interventi a garanzia del benessere animale e che andranno preventivamente autorizzati dal servizio veterinario competente. Permessi, invece, limitati interventi di miglioramento della biosicurezza, sempre previa autorizzazione del servizio veterinario territorialmente competente, a condizione che siano condotti nel rispetto delle condizioni di biosicurezza. Chi accede all’allevamento deve indossare tute e calzari monouso all’ingresso e garantire di non aver visitato altri allevamenti suini nelle 48 ore precedenti, ma anche di non essere stato in boschi o altri luoghi in cui sia stata segnalata la presenza di cinghiali. Un impegno che deve essere assicurato anche nelle 48 ore successive all’uscita dall’allevamento. Inoltre, nei comuni ricompresi nelle zone di restrizione, sono vietate mostre, mercati, fiere, esposizioni e ogni altra manifestazione o aggregazione in presenza di carattere agricolo/zootecnico che coinvolga il settore suinicolo.
Gli allevatori sono preoccupati, e il “contenimento della diffusione della Peste suina africana, disponibilità sugli indennizzi agli allevamenti per la mancata produzione a causa della Psa e impegno per una importante azione di contenimento della popolazione dei cinghiali, principali vettori del virus”, sono alcuni dei punti principali, elencati dalla Coldiretti, che il nuovo Commissario straordinario Filippini, ha messo sul tavolo dell’incontro avuto con oltre 500 allevatori delle zone interessate dall’epidemia che, dice l’associazione, “sta mettendo a rischio un intero settore e la sopravvivenza di una delle Dop più importanti del nostro Paese”. Il presidente Coldiretti, Ettore Prandini, fa sapere che “abbiamo chiesto al Commissario straordinario, di cui conosciamo e riconosciamo le grandi doti in questo ambito visto quanto fatto in passato in Sardegna, che vengano da subito erogati gli indennizzi dovuti alle aziende danneggiate dalla Psa che oggi sono in grande difficoltà. Certezza degli indennizzi che non devono riguardare solo quelle aziende che hanno subito gli abbattimenti, ma dobbiamo tenere in considerazione il tema del fermo aziendale, che riguarderà tutti quegli allevamenti che saranno costretti a rimanere fermi e non potranno nemmeno ripopolare. Ci dovrà poi essere un monitoraggio costante sui prezzi dei suini pagati agli allevatori per evitare che ci siano grandi speculazioni ed infine sarà fondamentale anche procedere a uno stop a mutui e ai contributi per le aziende colpite. Per questo già in questi giorni troneremo a incontrare le istituzioni perché si proceda in maniera rapida”. Il segretario generale Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, ha detto che “sono 10 anni che poniamo la questione di questo pericolo per un settore cruciale della nostra produzione agricola. Vista la gravità della situazione non possiamo fare sconti a nessuno quando a rischiare è una filiera con un valore tra produzione e indotto di 20 miliardi di euro, 100.000 posti di lavoro e 10 milioni di animali allevati”.
Anche Cia-Agricoltori Italiani ha lanciato l’allarme sottolineando come “con oltre 2 milioni di cinghiali che scorrazzano ancora su tutto il territorio nazionale e operazioni di contenimento che procedono a rilento, non ci può essere freno alla peste suina africana”, e dopo aver rilevato che “in pochi giorni sono saliti a 6 i focolai di Psa negli stabilimenti nazionali e hanno coinvolto Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia, regione che da sola conta più del 50% degli allevamenti suinicoli totali”. Non nasconde la propria preoccupazione il presidente Cristiano Fini, che fa riferimento ad uno scenario che si è “notevolmente complicato, è successo ciò che era prevedibile, vista l’eccessiva presenza dei cinghiali soprattutto nelle zone coinvolte. Ora chiediamo celerità nelle risposte. Gli indennizzi sono fermi allo scorso novembre ed è sempre più necessario supportare quelle imprese che continuano a lavorare con enormi difficoltà a causa delle misure sanitarie imposte. Servono subito ristori per coprire tutti i danni indiretti subiti con il blocco sanitario delle movimentazioni e anche con il deprezzamento dei capi”. Ma per Fini “occorrono ulteriori risorse per le misure di prevenzione, che ad oggi sono risultate insufficienti, oltre a un maggiore coordinamento e uniformità nella strategia di controllo della Psa. Il problema è nazionale e auspichiamo, quindi, che il direttore generale della Sanità Animale, Giovanni Filippini, che subentra al Commissario Vincenzo Caputo dopo le recenti dimissioni, agisca con urgenza attraverso misure straordinarie, superando i vincoli burocratici e accelerando gli abbattimenti per fermare i contagi. Non si può più aspettare, l’allerta è massima per gli allevatori. La peste suina rischia davvero di mettere ko un settore chiave del made in Italy agroalimentare, che genera oltre 13 miliardi tra produzione e industria”.
Sul tema è intervenuto a 24 Mattino su Radio 24 anche Rudy Milani, presidente nazionale suinicoltori di Confagricoltura: “siamo proprio sull’orlo di un disastro, siamo sul limite di un baratro. Saranno 15-20 anni che lamentiamo che una fauna selvatica fuori controllo è un grossissimo problema, oggi stiamo raccogliendo i frutti del non essere stati ascoltati. La peste suina è un problema squisitamente commerciale, è un problema di relazioni commerciali tra l’Italia e il resto del mondo. La presenza del virus della peste sul territorio italiano non mette a rischio il consumo perché è un problema per la salute, perché non lo è in nessun modo. Il problema è che questo virus trasportato attraverso la carne in Paesi esteri dove il virus della peste non c’è. Quindi da quando noi abbiamo avuto il virus in Italia l’esportazione di carne suina verso la Cina, verso il Giappone, verso l’Asia in generale e verso alcuni paesi dell’America è stata pochi giorni dopo bloccata creando un danno all’export. Da stime fatte da Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi) può essere valutato tra i 20 e i 30 milioni di euro al mese. Poiché la peste è arrivata in Italia a gennaio 2022 abbiamo accumulato fino adesso oltre mezzo miliardo di danno all’export”.

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